Articoli vari sulla famiglia e sui luoghi Brontë



Articoli  scritti dalla  Prof.ssa Maddalena De Leo, referente Italiana BS e 
consulente editoriale per l'Italia per  il periodico internazionale Brontë  Studies

-------------------------------


THE LOST MANUSCRIPTS

 (I MANOSCRITTI RITROVATI)

Nel 2016 la Brontë Society, grazie all’aiuto economico fornito anche da altri enti nazionali inglesi, ha acquistato in America, nel corso di un’asta, un importante libro appartenuto alla famiglia Brontë, dal titolo The Remains of Henry Kirke White.
Il libro, curato dal poeta Robert Southey, faceva parte degli oggetti che Maria Branwell, futura madre della geniale progenie Brontë, fece provenire dalla Cornovaglia nello Yorkshire poco prima del matrimonio con il reverendo Patrick Brontë. Fortunosamente i due volumi, rilegati in cartonato, si salvarono da un naufragio che sulle coste del Devon disperse invece quasi tutti gli altri oggetti di proprietà della giovane promessa sposa.
Il libro, dopo la morte della moglie e nel corso degli anni, fu custodito con la massima cura dal reverendo Brontë che lo considerò un memento ‘della carissima moglie defunta da conservare per sempre’, come egli stesso ebbe a scrivere di sua mano in latino sulla pagina iniziale di ciascuno dei due volumi. La vera sorpresa riservata dal ritrovato libro che appare oggi rilegato in pelle di color marrone in un unico tomo è stato però il ritrovamento di due manoscritti di Charlotte in esso contenuti, uno breve in prosa e l’altro in poesia, ambedue riferiti al mondo immaginario giovanile di Angria e, presumibilmente risalenti agli anni 1833-5.

Nell’ottobre 2018 la Brontë Society ha pubblicato The Lost Manuscripts, un elegante volume ricco di illustrazioni in cui gli inediti manoscritti compaiono corredati dal contributo critico di cinque autorevoli studiose brontëane a seguito di una breve introduzione ad opera della famosa attrice Judi Dench, presidentessa onoraria della Brontë Society. Davvero un apporto prezioso e una vera perla  per la bibliografia brontëana.



  IL PRIMO MANOSCRITTO RITROVATO
 (in prosa)
    
      Il primo dei due manoscritti di Charlotte Brontë, ambedue ritrovati per caso nel libro The Remains of  Henry Kirke White, è un breve racconto in prosa non datato che presumibilmente risale all’anno 1833, quando la giovane autrice iniziava con il fratello Branwell quella collaborazione letteraria che dove’ in breve portare i due alla creazione della saga di Angria. E’ un racconto satirico, divertente e arguto, pervaso di violenza, il primo di una serie di narrazioni in cui ambedue i giovani Brontë prenderanno in giro l’alta borghesia analizzandone i vizi attraverso personaggi depravati e violenti, frutto della loro fantasia. Il protagonista è proprio quel Charles Wellesley,  in seguito divenuto per Charlotte un ‘alter ego’, che sarà già in questo primo breve racconto indicato con il nome definitivo di Charles Townshend. In maniera insolita egli viene qui visto come un aristocratico ubriacone che allontanatosi dalla corrotta città di Londra trova rifugio nel villaggio di Haworth alloggiando presso il Black Bull, il famoso pub dallo storica fama. Townshend è accompagnato da un tale Robert Thing, e i due, presentatisi a Haworth camuffati da prelati dissidenti, si danno al bere e si divertono notte e giorno terrorizzando quegli abitanti del villaggio che professano una religione diversa dalla loro, che invece si fanno passare per due irreprensibili ecclesiastici. 
       E’ molto singolare il fatto che Haworth e il Black Bull vengano scelti dalla diciassettenne Charlotte come ambientazione di questo suo primissimo scritto. La giovane autrice infatti è ancora in una fase di esplorazione e sperimenta quindi le potenzialità della propria scrittura prendendo spunto e riferendo fatti derivanti dalle dicerie popolari del suo paese.  La caratteristica di questo ritrovato manoscritto è quindi la sua ambientazione in quanto, proprio attraverso le scene di violenza, Charlotte congiunge il mondo di fantasia che la ossessiona già a partire da quegli anni con quello reale del villaggio in cui vive fornendo un panorama introspettivo di quello che era il suo personale rapporto con le persone di Haworth. Per la prima e unica volta Glass Town e Haworth si tangono per dare spazio e impulso alla sua successiva e incredibilmente feconda immaginazione. 

..........................................................................................................................

IL SECONDO MANOSCRITTO RITROVATO
(in poesia)


   Il secondo manoscritto poetico ritrovato nel libro della madre delle Brontë si compone di settantadue versi in pentametri giambici scritti a matita con calligrafia minuscola da Charlotte. Ricorrono in esso diverse cancellature e correzioni, il che ci fa capire che il testo era ancora in fase di revisione quando fu poi abbandonato e inserito nel libro. Come argomento e ambientazione il contenuto si riferisce al racconto di Angria L’esilio di Zamorna, composto da Charlotte nel 1836, e situato cronologicamente nel momento della saga in cui il suo protagonista viene mandato lontano dalla propria terra dal nemico Northangerland, padre dell’amata moglie Mary. Per quanto incallito libertino e adultero, Zamorna è attratto da lei più che da ogni altra donna mai incontrata pur non avendolo mai dimostrato, dato che nei precedenti racconti ha costretto la giovane Mary a prostrarsi ai suoi piedi presa da dubbi e incertezze riguardanti la sua fedeltà in amore.   
E’ proprio in questo componimento poetico che Zamorna per la prima e unica volta si lascia andare a una professione di devozione nei confronti della sua amata, scorgendola di nascosto e da lontano durante una festa. L’inconscia regalità della giovane Mary e la sua bellezza eterea lo inducono a paragonarla ad una regina delle fate, la Titania di shakespeariana memoria, configurando se stesso come Oberon. Il componimento essendo un modo alternativo pensato da Charlotte per evidenziare i meriti di Mary, è un momento molto importante per la delineazione del personaggio Zamorna, in quanto lo rende debole e umano, scevro di quegli aspetti autoritari e spesso poco congeniali che sempre lo caratterizzano in tutti i racconti del ciclo di Angria. Cio’ che Charlotte pone in evidenza al massimo grado in questi versi è il senso di perdita subìto da Zamorna ed il suo triste rimpianto per quel sentimento vero che, a seguito degli incidenti bellici con il suocero, non potrà più esistere tra lui e la bellissima moglie. Egli diviene in breve un eroe solitario, appartato, romantico, e proprio per tale motivo verrà decisamente supportato dalla benevola indulgenza dell’autrice.
Come riferitoci da Sarah E. Maier nel suo bell’articolo, questo nuovo manoscritto poetico e quello in prosa rappresentano due preziosi ‘frammenti di vetro’ [1] . Il  loro fortunoso ritrovamento ci fornisce una diversa dimensione della elaborazione del ciclo di Angria e la possibilità di aprire una nuova finestra sul mondo immaginario giovanile di Charlotte Brontë.





[1] Maier Sarah E., ‘Fragments of Glass’ in   Charlotte Brontë – The Lost Manuscripts, The Brontë Society, 2018, pp. 94-  31

...................................................................................................................................................................

LA MAGIA DI HAWORTH


      Lo scorso agosto sono stata nuovamente a Haworth, il mio villaggio d’elezione. Anche se si trattava della mia nona volta nel paese incantato che ha scandito la vita delle sorelle Brontë, per me ritornare lì è sempre fonte di grande emozione perché provo ancora le sensazioni avvertite quella prima volta, l’ormai lontano luglio 1983, quando aggrappandomi alla cancellata che separa la chiesa dal cimitero circostante la Brontë Parsonage, finalmente ne vidi a poca distanza per la prima volta la sagoma che si stagliava nitida verso il cielo.
Nel mese di agosto la brughiera, che si estende per miglia e miglia dietro la canonica, è nel suo momento più glorioso di estremo fulgore. E’ infatti tutta fiorita di erica violacea e i bassi cespugli, talvolta fitti ma di tanto in tanto anche radi, colorano di porpora le verdi estensioni tanto da formare quello che io definisco ‘il mare d’erica’. La mia gioia più grande quando sono lì è farmi fotografare a contatto con quella natura rude e scabra, ancora incontaminata dalla civiltà, pensando alle parole con cui ce l’ha descritta nel suo romanzo e nelle poesie Emily Brontë, la portavoce maggiormente ad essa vicina e di conseguenza la più attendibile. Altra mia mania quando sono in brughiera è raccogliere quanta più erica e’ possibile, estirpandola a forza dalle radici con le mani per poi portarla in Italia a casa e rimirarla nostalgicamente una volta che si sia seccata. Anche quest’anno è andata così, ma il recente soggiorno a Haworth mi ha fornito un anche bonus inaspettato. L’ultima sera della mia permanenza nel villaggio, attardandomi dopo cena all’apice della strada principale giustamente denominata Main Street e mentre godevo oltre misura del silenzio incredibile venutosi a creare al calar delle ombre della sera, intervallato solo dallo stridìo saltuario delle cornacchie e dal lieve tintinnìo dei boccali proveniente dal pub poco distante, alzando lo sguardo mi sono resa conto che c’era la luna piena in un cielo incredibilmente terso (vero miracolo in quel paesino solitamente freddo e piovoso) e che era proprio la presenza dell’astro a dar luce alla strada. Come se si fosse ancora nell’Ottocento, la Main Street, ancora formata da antichi ciottoli, è infatti illuminata di sera solo dalla fioca luce dei lampioni e già così l’atmosfera di sospensione nel tempo è particolarmente palpabile. La presenza della luna, bianca, tonda e lucente, che si poneva precisamente a metà della scena a ridosso della discesa e fra i gruppetti di case antiche poco distanti dalla solitaria e oscura brughiera restituiva delle suggestioni incredibili. Con gli occhi della mente quel silenzio mi ha portato a immaginare in che modo si potesse trascorrere in epoca vittoriana una serata simile, chiaramente non indugiando per strada a quell’ora tarda ma rimanendo in casa alla luce della candela senza altro intrattenimento se non la propria fantasia.
Ed è stata proprio la magìa di quel momento a farmi sentire ancora una volta più vicina che mai alle mie beneamate autrici Charlotte, Emily e Anne Brontë che in questo villaggio così silenzioso trascorsero tutta la loro breve vita intente a scrivere di sera!



                                                                     
                                  
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


…. IN MEMORIA DI CHARLOTTE

 E EMILY


        Tutti i visitatori della chiesa di St. Michael and All Angels a Haworth sanno che nell’angolo a destra poco distante dall’altare c’è sul pavimento una dorata targa in ottone con incisi i nomi e le date di nascita e di morte di Charlotte ed Emily Brontë. Spesso in quell’angolo si trovano dei fiori, mazzolini d’erica e oggigiorno anche bigliettini di ammiratori provenienti da tutte le parti del mondo perché le due grandi autrici inglesi sono sepolte proprio in quel punto nella volta al di sotto del pavimento della chiesa.
Ben pochi visitatori e appassionati brontëani sono però a conoscenza della storia di quella targa che, sebbene appaia moderna e quasi recente in quanto sempre così lucida, in realtà non lo è affatto. Fu infatti donata alla chiesa di Haworth nel 1882 da un ricco londinese, Sydney Biddell, poco dopo la sua ricostruzione ordinata dal reverendo Wade, il successore di Patrick Brontë.
Di Biddell si conosce ben poco se non che fosse un grande estimatore del genio delle Brontë. Dopo un suo primo soggiorno a Haworth nel 1879, anno in cui la vecchia chiesa ove il reverendo Patrick aveva predicato per anni stava per essere demolita con grande disappunto degli abitanti del villaggio, Sydney Biddell decise di perpetuare il ricordo delle autrici che lì erano sepolte facendo erigere un monumento in loro onore che potesse rimanere per le generazioni future. Dopo essersi messo in contatto con Ellen Nussey, l’amica carissima di Charlotte ancora vivente, e averne ricevuto la sua entusiastica approvazione, il ricco londinese non riuscì però nel suo intento perché ostacolato dal reverendo Wade e dal marito di Charlotte, Arthur Bell Nicholls, trasferitosi ormai in Irlanda del Nord. Dovè accontentarsi purtroppo di finanziare solo una targa in ottone, invocando invano anche solo per la sua installazione l’appoggio dell’editore George Smith, ormai dimentico di colei che quattro decenni prima aveva dato lustro alla sua casa editrice ben poco conosciuta sino al 1847..
La targa commemorativa ideata e commissionata da Sydney Biddell è ancora lì dopo più di centotrent’anni, splendida e rimirata con amore da tutti i visitatori della piccola chiesa di Haworth. Non c’è quindi che da ringraziare e ricordare il nome di quell’uomo intraprendente che volle lasciare per i secoli avvenire un così efficace ricordo del suo amore per le Brontë.


--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


WUTHERING HEIGHTS: PERCHE’ 

DUBBIA LA PATERNITA’?


        Come si iniziò a pensare che non Emily Brontë ma il fratello Branwell potesse essere stato l’autore di Wuthering Heights? Il dubbio fu avanzato per la prima volta nel 1867 quando nel numero di giugno dell’Halifax Guardian, periodico allora famoso nello Yorkshire e diffuso nella zona in cui i Brontë avevano vissuto, lo scrittore e poeta William Dearden, vantandosi di aver conosciuto Branwell Brontë all’inizio degli anni ’40, pubblicò un articolo dal titolo ‘Who wrote Wuthering Heights?’ in cui riferiva di essersi intrattenuto una sera d’estate del 1842 con Branwell e il suo amico scultore Joseph Leyland in un pub nelle vicinanze di Haworth.
Un mese prima i due poeti avevano pensato di sfidarsi per diletto producendo ambedue entro breve tempo una composizione in versi che riguardasse un episodio precedente l’epoca del Diluvio Universale. Un mese dopo una volta giunto all’appuntamento, Branwell però si rese conto casualmente di aver portato con sé un manoscritto sbagliato e non il poema che aveva scritto appositamente per quella serata. Secondo Dearden il brano in prosa esibito dal giovane Brontë riproduceva invece ‘in nuce’ i personaggi e le scene di quel Wuthering Heights che era stato ‘presuntuosamente’ poi attribuito da Charlotte Brontë alla penna della sorella Emily.
Secondo l’autore dell’articolo in questione, scritto fra l’altro dopo più di un quarto di secolo dall’accaduto e dopo la morte del reverendo Brontë, era impossibile che una ragazza timida, asociale e soprattutto senza alcuna esperienza del mondo avesse concepito un personaggio così ‘disgustoso’ quale Heathcliff. Dearden comunque nell’articolo instillò solo il dubbio nei lettori senza però giungere a vere e proprie conclusioni, sapendo bene che la propria teoria non poteva essere suffragata da prove certe già alla fine degli anni sessanta dell’Ottocento ma insistendo nel dire che quanto udì quella sera del 1842 in lettura da quel manoscritto era un prototipo del personaggio di Heathcliff.
Da quel momento in poi per gran parte del secolo successivo si ebbero periodicamente dei sostenitori della teoria secondo cui il vero autore di Wuthering Heights sarebbe stato Branwell Brontë. E ciò a partire da quanto scritto nel memoriale di Francis Grundy, altro suo amico, per giungere al tentativo biografico di Alice Law che ridicolamente negli anni venti del Novecento ancora sosteneva, suffragando enfaticamente la propria teoria con prove poco credibili e ipotesi ormai superate, che il romanzo potesse essere stato scritto da Branwell. E ancora in tempi moderni anche Daphne du Maurier si poneva negli anni ’60 gli stessi interrogativi nella sua biografia romanzata di Branwell mentre addirittura all’inizio di questo nostro secolo un certo Chris Firth con il suo Branwell Brontë Barber’s Tale: Who wrote Wuthering Heights?’ nel 2004 non ha trovato di meglio che speculare sull’argomento mettendo nuovamente in dubbio la paternità del grande romanzo.        

                                                                      

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

GAWTHORPE HALL  

    Durante il mio ultimo soggiorno a Haworth, ho avuto modo di visitare con grande interesse un’imponente dimora gentilizia in cui alla metà del diciannovesimo secolo fu ospitata Charlotte Brontë. Si tratta di Gawthorpe Hall, spendido edificio tardo-elisabettiano situato al centro di un meraviglioso parco proprio al limitare di Padiham, paesino del Lancashire vicinissimo alla più famosa cittadina di Burnley e distante solo quaranta minuti di auto da Haworth.
   Circondata da un meraviglioso e curatissimo giardino, la casa appartenne alla famiglia Shuttleworth per molti secoli e solo da una trentina d’anni è stata destinata da Lord Charles, l’ultimo discendente, alla cura e manutenzione del National Trust britannico. E’ tuttora mèta di visitatori e curiosi e in essa è possibile ammirare, oltre alle meravigliose stanze ricche di mobili antichi, tappeti, quadri e sculture di un certo valore antiquario, l’interessantissima collezione di ricami della compianta Lady Rachel Kay-Shuttleworth che, negli anni ’50 e ’60 del ventesimo secolo diede vita proprio a Gawthorpe ad una fortunatissima scuola di ricamo con allieve che seppe istruire benissimo in questa arte. I microscopici ricami di Lady Rachel sono infatti dei piccoli capolavori di precisione e chi li guarda rimane completamente estasiato.
    La peculiarità che però per noi filo-brontëani ha Gawthorpe Hall è legata ai due periodi in cui Charlotte Brontë fu ospitata dai padroni di casa, Sir James Kay-Shuttleworth e sua moglie Lady Janet, e la cui conoscenza con la nostra autrice fu uno degli effetti del grande successo di Jane Eyre.
Fu fra l’altro proprio Sir James a presentare Charlotte nel 1850 a Elizabeth Gaskell, sua futura biografa, anche se in un’altra sua casa sita nel Distretto dei Laghi.
    Charlotte Brontë fu ospite a Gawthorpe Hall nel marzo 1850 e poi nel 1855 con il neo-marito Arthur Bell Nicholls al quale Sir James offrì, senza che fosse da questi accettata, addirittura la cura della parrocchia locale.
    La casa piaceva molto a Charlotte che la definì ‘secolare, grigia, imponente e pittoresca’ riandando con la memoria alle serate trascorse con i padroni di casa presso il grande focolare della sala da pranzo dai pannelli di quercia scura. In una sua lettera all’editore George Smith, Charlotte infatti ricordò ‘i dialoghi o per meglio dire i monologhi in verità non troppo opprimenti’ di Sir James, dato che ella di solito ascoltava più che parlare.
   Durante la visita a Gawthorpe Hall, mi sono soffermata a lungo dinanzi alla sala da pranzo immaginando la figuretta di Charlotte che, seduta in un angolo riempì più di centocinquanta anni fa quella stessa stanza della sua presenza modesta. Ed è bello pensare che, ancora oggi, questa dimora così solenne sia ricordata da molti soprattutto perché la famosa autrice Charlotte Brontë vi abitò per qualche giorno in due momenti della sua breve vita.




--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

     
BRONTE, ORIGINE DI UN COGNOME


        Bronte è un piccolo comune della provincia di Catania situato alle pendici dell'Etna. Oggi è più famoso nel resto dell'Italia per la produzione del pistacchio e meno per quel che riguarda il suo passato storico che nel diciannovesimo secolo vide questa cittadina protagonista di un momento bellicoso del nostro Risorgimento. Agli studiosi di letteratura il nome Bronte però, anche senza la famosa dieresi, richiama alla mente una singolare triade di scrittrici vissute in Inghilterra durante il primo periodo vittoriano, precisamente le sorelle Charlotte, Emily ed Anne Brontë, autrici di capolavori della narrativa mondiale quali Cime Tempestose e Jane Eyre.
     L'origine del loro cognome è molto singolare ed è da attribuire alle manie giovanili del loro padre, un focoso giovanotto irlandese di nome Patrick Brunty che, dopo un'infanzia e un'adolescenza poverissime, ebbe l'opportunità di studiare a Cambridge in quanto vincitore di una borsa di studio universitaria. Si era nel 1802 e l'eroe nazionale inglese era in quel momento l'ammiraglio Orazio Nelson. A seguito dell'aiuto considerevole da lui elargito nel periodo della Rivoluzione Partenopea al re di Napoli Ferdinando di Borbone, quest'ultimo lo compensò con quindicimila acri di terra siciliana e lo insignì del titolo di 'duca di Bronte', dal nome del luogo in cui si trovava la proprietà donata. Il famoso ammiraglio fu molto orgoglioso di questo titolo e se ne fregiò sempre per tutto il resto della sua vita firmandosi 'Bronte Nelson' anche se non si recò mai a visitare di persona le terre di cui era diventato padrone.
    Il giovane Patrick, dal carattere volitivo e intraprendente, ebbe non pochi problemi all'atto dell'iscrizione al college con quel suo patronimico strano e di chiara origine non precisamente inglese, gli sembrava addirittura di essere deriso dagli altri ricchi e altezzosi studenti dai cognomi tradizionalmente altisonanti. Fu così che, grazie alla sua ammirazione per Orazio Nelson in seguito divenuto vittorioso eroe a Trafalgar, l'intraprendente irlandese adattò il proprio cognome trasformandolo da Prunty in Bronte. Non trascurò inoltre il fatto che la parola aveva in greco un significato (tuono) che sembrava adattarsi perfettamente al suo carattere impetuoso e come ciliegina sulla torta infine si concesse la dieresi. Purtroppo Patrick, divenuto in seguito l'austero e longevo reverendo Brontë, non ebbe alcun erede diretto e pur essendoci all'epoca nella natìa Irlanda ancora molti suoi fratelli e nipoti Brunty il nuovo cognome da lui coniato era destinato ad estinguersi dopo la sua morte. Miracolosamente però, grazie alla fama imperitura guadagnata post-mortem dalle sue geniali figlie, 'Brontë' è oggi ancora una parola conosciuta e ricordata in tutto il mondo.                                                      
                



--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


BRANWELL BRONTË E LA MUSICA


      Branwell Brontë, come del resto le sorelle, fu sempre particolarmente attratto dalla musica e cercò di imparare a suonare più di uno strumento musicale. Negli anni 1832-34 dovè ricevere lezioni di piano con le sorelle Emily e Anne da Abraham S. Sunderland, il maestro chiamato dal reverendo Brontë perché insegnasse a suonare il pianoforte ai figli.
      Branwell si dilettava anche con l’organo nella locale chiesa di St. Michael & All Angels, essendo soprattutto attratto dalla musica di Haendel. Questa sua predilezione è riportata in un suo scritto del 1831 e da Charlotte in un racconto di Angria in cui con il nome fittizio di Patrick Benjamin Wiggins la sorella maggiore ne tratteggia la caricatura. Ben presto Branwell fu attratto anche dalla musica di Bach, Mozart e Haydn, tanto da assistere spesso a concerti in cui venivano eseguiti i brani di questi grandi musicisti.
     Ma lo strumento musicale che dovè attrarre maggiormente il fratello delle Brontë fu il flauto. Anche se non esiste alcun riferimento, diario o lettera in cui Branwell parla della sua predilezione per questo strumento e tantomeno si è mai trovato nella canonica di Haworth un flauto, molti studiosi brontëani (Chitham, Barker, Gérin) sono concordi nel ritenere che Branwell lo suonasse. La studiosa giapponese mia amica Akiko Aguchi ha elaborato una decina d’anni fa un corposo studio[1] secondo cui Branwell dovè imparare a suonare con profitto il flauto intorno ai quattordici anni. L’unica prova di ciò è l’esistenza di un suo libretto manoscritto datato 1831-1832 contenente la trascrizione da altri strumenti di ventuno arie, per la maggior parte salmi ecclesiastici, canzoni, marce e ballate del folklore scozzese. Nei vari brani non c’è numerazione e nemmeno compare la sequenza delle pagine. Il libretto di musiche per flauto di Branwell non è facile da leggere, anche se le melodie sono semplici, e contiene ballate con le parole di Robert Burns e Walter Scott, allora molto conosciute nello Yorkshire.
      Sempre secondo la Higuchi e gli altri studiosi citati, Branwell dovè imparare a suonare lo strumento a fiato in soli tre mesi ma con l’aiuto di qualche maestro, dato che nel suo ‘flute book’ è visibile in alcuni punti una calligrafia diversa dalla sua. Di conseguenza Branwell si ritrovò eventualmente a partecipare in qualità di musicista anche a qualche esecuzione per flauto tenuta, guarda caso, proprio presso il Black Bull dalla Haworth Philarmonic Society.                                                                                   




[1]  Higuchi Akiko, The Brontës and music, Volumi 1 e 2, Tokyo, Yushodo Press, 2008


--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


LA VOCE NELLA TEMPESTA 
 DI  BEPPE FENOGLIO


 Non molti sono a conoscenza che l’autore italiano Beppe Fenoglio (1922-1963) in gioventu’ scrisse una dramma teatrale ispirato a Cime Tempestose, il grande romanzo di Emily Brontë.
Si tratta di La voce nella Tempesta, pièce in tre tempi (di cui l’ultimo costituito da due quadri) con l’aggiunta di un saggio di tre fogli dattiloscritti che, dopo una breve storia critica del romanzo, ne evidenzia i meriti e l’originalità. Il dramma teatrale in questione fu pubblicato nel 1974 da Einaudi anche se in BS Transactions 1971 apparve già recensito da Bruce Merry che curò inoltre, nello stesso numero, la traduzione in inglese del saggio che fungeva da appendice.
Fenoglio sin da giovane aveva provato una notevole attrazione per la letteratura inglese, prediligendo in particolare Cime Tempestose, che aveva letto al ginnasio, perché trovava in esso in esso dei riferimenti autobiografici importanti quali le differenze tra classi sociali e il rifiuto subìto in quanto povero da parte di una ragazza agiata di cui era innamorato. Nella sua più famosa opera Una questione privata, pubblicata postuma nel 1963, il giovane studente protagonista Milton, che specularmente è poi lo stesso Fenoglio, vive una situazione simile a quella di Heathcliff in quanto, essendo povero e poco attraente, si vede portar via la ragazza dal rivale Giorgio.
Beppe Fenoglio vide il film interpretato nel ’39 dalla coppia Olivier-Oberon a Torino nel 1941 e ne rimase fondamentalmente deluso, forse perché la trasposizione cinematografica gli sembrò eccessivamente romantica. Il manoscritto della rappresentazione dovè essere redatto negli anni 1941- 45.
Il testo teatrale di Fenoglio si sofferma sui primi diciassette capitoli del romanzo e affronta soprattutto due temi: 1) il conflitto sociale e 2) il rapporto uomo-natura. L’autore riesce a rendere bene lo spirito della brughiera anche se i nomi dei personaggi vengono spesso alterati e italianizzati, per cui Lockwood, personaggio da Fenoglio considerato superfluo, diviene Longwood, Hindley diviene Martin, Nelly Elena e Joseph Giuseppe.  L’azione ha inizio nel mezzo del romanzo, e il primo atto verte soprattutto sul triangolo amoroso  Heatcliff, Cathy e Edgar. Il momento centrale quello in cui Cathy dichiara enfaticamente ‘I am Heathcliff’, diventa in Fenoglio una proporzione, in quanto la stessa protagonista si troverà a dire ‘Heathcliff sta nel mio cuore come le Rocce Rosse nella brughiera’. Anche l’ambientazione ricreata dall’autore torinese diventa molto nostrana in quanto le brughiere dello Yorkshire si trasformano in lande, corrispondenti alle langhe piemontesi. Nel secondo atto si assiste ai due matrimoni e nel terzo alla truffa perpetrata da Heathcliff a danno di Hindley . Nella scena finale c’è molta poesia e il tono è quanto mai simile all’originale. Notevole è il passo: ‘Il vento viene da lontano, passa sulle Rocce Rosse, pettina tutta l’erica. Soffia diritto alla finestra, su di me, tutto odoroso. E’ come se sfiorassi col viso un gran mazzo d’erica che Heathcliff m’avesse portato appena ora’.
Il dramma La voce nella tempesta di Beppe Fenoglio fu messo in scena con successo al Teatro Belli di Roma nell’autunno 2001 da Antonio Salines avendo come protagonisti Francesca Bianco (Cathy) e Alessandro Luci (Heathcliff).




--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


SULLE ORME DI EMILY BRONTË

 A LAW HILL


     Sappiamo oggi che dal settembre 1838 alla fine di marzo 1839 Emily Brontë insegnò a Law Hill ma tale periodo della sua vita è stato stranamente ignorato dai primi suoi biografi, soprattutto perché prima di loro sia Charlotte che Ellen Nussey volutamente sorvolarono su quel semestre della vita di Emily, addirittura senza nemmeno menzionare il luogo in cui ella si trovava al tempo e adducendo come motivo del suo ritorno a casa la salute precaria e instabile.
     Verso la fine del diciannovesimo secolo ci si è invece resi conto che quei sette mesi furono cruciali per la formazione mentale e per la creatività dell’autrice che proprio in quel periodo, sicuramente al massimo della concentrazione e nel pieno delle forze, scrisse il nucleo principale delle sue poesie e probabilmente trovò l’iniziale ispirazione per la trama e la scenografia del suo unico romanzo. Secondo molti critici, ultimo dei quali Edward Chitham[1], moderno biografo di Emily, il paesaggio su cui si affacciava la scuola di Law Hill, molto simile a quello delle brughiere di Haworth con due ricche dimore poste a breve distanza l’una dall’altra denominate High Sunderland e Shibden Hall, avrebbe instillato nella mente dell’autrice l’idea delle due case nemiche da lei in seguito descritte. Il periodo in cui insegno’ a Law Hill fu per Emily un tempo felice. Le erano state affidate le alunne più piccole che molto probabilmente lei di pomeriggio portava a passeggio nei dintorni insieme alla direttrice della scuola, Miss Patchett, con cui a quanto pare la nostra andava molto d’accordo. Insieme a lei Emily dovè assistere ai concerti che si tenevano a High Sunderland e sicuramente visitare i prati che circondavano l’altra dimora, Shibden Hall. Quest’ultima, in particolare, era di proprietà di Anne Lister, una donna abbiente e amica della Patchett, oggi acclamata come autrice per la recente scoperta dei diari da lei scritti e interessante per le sue tendenze lesbiche che chiaramente, all’epoca, si potevano solo intuire. Sembra però che nei mesi in cui Emily Brontë insegnò a Law Hill la Lister fosse all’estero per cui è quasi sicuro che le due autrici non ebbero l’opportunità di conoscersi.
     In un recentissimo numero di Bronte Studies Chitham elabora la teoria secondo la quale alcune delle poesie scritte da Emily nel periodo di Law Hill traessero ragion d’essere dall’amicizia instaurata con una sua collega insegnante di nome Jane Aspden e quindi dalla gioia di poter condividere per la prima volta idee ed esperienze con una persona al di fuori della famiglia[2].

     Nell’anno celebrativo del bicentenario della nascita di Emily Brontë ho avuto la fortuna di essere accompagnata in auto a Southowram, un piccolo centro nelle vicinanze della imponente e moderna citta di Halifax.Volevo infatti cercare proprio Law Hill House, sapendo che la costruzione, ancora esistente, non è più una scuola ma una casa privata e, di conseguenza non visitabile. Sorprendentemente nel paesino nessuno ne conosceva l’esistenza, e dopo aver chiesto ripetutamente in giro informazioni senza esito, l’unica fonte sicura, cioè  il postino, indicò a me e ai miei amici inglesi un certo numero di case in collina poste un po’ fuori dall’abitato. Una volta lassù percorrendo a piedi l’ultimo tratto di strada, eccola apparire: una tondeggiante targa blu che sul muro di una normalissima casa a tre piani testimoniava la presenza di Emily Brontë in quel luogo quasi due secoli fa.

     Poi, guardando bene dal lato opposto a quello della strada, un panorama collinare davvero simile a quello che si può godere a Haworth al limitare della brughiera, con rare fattorie qua e là sparse fra i campi. Davvero un paesaggio idillico! Perché mai Emily volle tornare a casa dopo essere rimasta lì solo sette mesi? Rimarrà sempre per tutti un mistero!

   Dopo le foto di rito, ci trasferimmo con gli amici verso la periferia della città di Halifax per completare la visita delle dimore che furono di possibile ispirazione per Emily. La prima, High Sunderland non esiste più, essendo stata demolita nel 1950 ma Shibden Hall c’è e i suoi ampi e verdi giardini  sono stati oggi trasformati in un rinomatissimo parco giochi ove bambini e adulti si recano a consumare un pasto all’aperto e si divertono al sole (quando c’è). La casa della Lister, un basso edificio in stile tudoriano molto ben tenuto, si trova invece su una collinetta in cima al parco, raggiungibile a piedi o con un trenino verde.
Che sia stata anche questa casa, come le altre normalmente accreditate a Haworth, il germe dell’ispirazione di Thrushcross Grange? Non lo sapremo mai con sicurezza[3].






[1] Chitham Edward, A Life of Emily Brontë, Blackwell, Oxford, 1987
[2] Chitham Edward, Law Hill and Emily Brontë: Behind Charlotte’s Evasion, in Bronte Studies, Vol 41, n 3, luglio 2018,  
   pp. 176-187
[3]  v. nota 2
                         


------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------                                                                                                                                 SIGNIFICATO DEGLI UCCELLI IN 
WUTHERING HEIGHTS


      In un interessante articolo di Emily Roberson Wallace pubblicato sul numero di settembre 2016 di Brontë Studies[1], si parla del particolare significato che gli uccelli assumono nel romanzo di Emily Brontë. In Wuthering Heights infatti vengono menzionati non meno di cinquanta volatili che riflettendo quella infelicità che pervade il romanzo, con la loro presenza si pongono in linea con il senso della natura e il folklore di cui esso è intriso dall’inizio alla fine.
     Le analogie si riferiscono a tre particolari volatili: il cuculo, la pavoncella e la passera scopaiola, ognuno dei quali trova rispettivamente un termine di confronto nei personaggi principali creati dalla Brontë e cioè Heathcliff, Cathy e il gruppo Hindley/Hareton – Edgar/Isabella.
     Sappiamo già dalle parole stesse di Emily Brontë che, nel corso della storia narrata, Heathcliff viene spesso paragonato al cuculo, un uccello che depone le uova in un nido non suo appropriandosene ben presto e seminando discordia fra tutti i suoi componenti; non così ricordata è invece, come sottolineato dalla Wallace, l’analogia della pavoncella (in inglese lapwing) con Cathy. Questo uccello, nominato solo durante la scena della pazzia nel capitolo dodicesimo, è un volatile della brughiera molto attivo e sempre in movimento, le cui piume sono imprigionate nel cuscino così come la protagonista di Wuthering Heights lo è in una casa che non riconosce come propria e da cui anela a liberarsi attraverso la morte. La pavoncella è inoltre un uccello ostile verso gli altri della stessa specie e non sa vivere in armonia, proprio come Cathy negli anni della fanciullezza e della prima gioventù non era stata in grado di costruire un rapporto amichevole con coloro che la circondavano (padre-fratello-servitù). Ancora un’analogia con questo volatile si può trovare nel significato ad esso attribuito da Shakespeare e nella cultura francese: chi si comportava in modo poco onorevole e subdolo infatti veniva spesso paragonato ad una pavoncella e Cathy, sposando Edgar preferendolo all’amato Heathcliff si era resa colpevole di ciò.
     La passera scopaiola (in inglese hedge sparrow, detta anche dunnock) è in natura un uccello dalla vita breve che è solitamente vittima del parassitismo del cuculo. Proprio ad esso vengono accostati gli altri personaggi del romanzo che in un modo o in un altro diventano le prede della mania distruttiva di Heathcliff; così sarà soprattutto per Hindley quando si troverà costretto a cedere la propria antica casa all’usurpatore. Isabella, paragonata inizialmente a un canarino per la sua fragilità aristocratica, come questo delicato uccellino non potrà sopravvivere alle intemperie della brughiera, cioè al matrimonio con Heathcliff, fuori dalla sua gabbia. Una volta presa in trappola da colui che nel romanzo viene associato al cuculo diventerà però una passera scopaiola e, pur essendosi liberata della sua tirannica presenza, andrà incontro ad una morte precoce.

              Maddalena De Leo




[1]   Wallace Roberson Emily, ‘Caged Eagles, Songsters and Carrion – Seekers: Birds in Jane Eyre and Wuthering Heights’, in Brontë Studies, settembre 2016, pp. 249-260.




-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------



Nessun commento:

Posta un commento