Ricordi di viaggio



(di Maddalena De Leo)


    Tanti sono i ricordi dei miei numerosi viaggi a Haworth, a partire dal lontano 1983 quando per la prima volta mi recai nello Yorkshire, per arrivare sino ad oggi. 
E per ogni viaggio, c'è un oggetto particolare, acquistato o ricevuto, che testimonia nel tempo il mio soggiorno nella magica terra delle sorelle Brontë
         I primi sei soggiorni a Haworth sono corredati dal racconto, spesso divertente e ironico, delle avventure capitatemi nel corso degli anni nel famoso villaggio, episodi incredibili che a tutt'oggi annovero fra i miei ricordi più belli. 


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 Luglio 1983


Riuscii a recarmi a Haworth per la prima volta  nel 1983. Con incredibile tenacia mi ero guadagnata da sola mediante traduzioni e lezioni private tutto il denaro necessario per quel viaggio riuscendo quindi a prenotare, con l’aiuto di un ‘alunno’ medico a cui insegnavo a parlare inglese presso una scuola privata, un ‘bed and breakfast’ proprio al centro del villaggio. Allora non esisteva Internet, per cui l’amico radioamatore aveva prenotato l’ alloggio per me via etere, cosa che sembrava stranissima secondo la mentalità d’allora.
    Ebbene, giunta sul posto con una ragazza che, in verità, poco conoscevo ma che mi servì da ‘copertura’ per convincere mio padre a farmi avventurare da sola nell’amata Inghilterra, mi ritrovai subito in una situazione a dir poco paradossale.
    Era sera e avevo con me solo dei ‘Travellers’ cheques’, nemmeno una sterlina. La padrona del ‘bed and breakfast’, donna anziana forse analfabeta, che probabilmente non era mai uscita da quel suo remoto villaggio, riusciva a esprimersi solo attraverso lo strettissimo dialetto dello Yorkshire, notoriamente incomprensibile anche ai londinesi e, cosa ancor più grave, non capiva affatto quel che io dicevo in inglese. La mia compagna di viaggio invece non parlava affatto, conoscendo poco la lingua.
   Dopo un buon quarto d’ora di gesti e parole inutilmente scandite da ambo le parti, la donna  ormai spazientita  per l’assoluta mancanza di comunicazione, ci lasciò lì per strada attorniate dai nostri bagagli e dopo pochi attimi riapparve con un’altra donna anch’essa anziana ma più giovane di lei, praticamente chiamata a fare da …. interprete!
   Non appena la vecchia padrona del ‘bed and breakfast’ si rese conto che io non avevo da consegnarle le sterline ma solo ‘pezzi di carta’, come lei chiamava gli assegni non riuscendo assolutamente a capire che erano l’equivalente in soldi di quanto le dovevo per le cinque notti prenotate, cominciò a dimenarsi, a urlare e addirittura minacciò me e la mia seguace, anche lei a corto di sterline, di …..sbatterci fuori all’istante. Ma quando mai avevamo varcato la porta di quel cottage?
   Erano ormai le undici di sera, non sapevo proprio dove andare e non conoscevo affatto il villaggio. Fu solo grazie all’intervento della donna-interprete che la testarda padrona si placò ospitandoci per quella notte, ma solo a condizione che l’indomani mattina alle sette in punto le sterline sonanti fossero nelle sue mani. Non le importava affatto, disse, che la banca si trovasse a circa venti chilometri di distanza!
   Come riuscii a risolvere la spinosa questione, onestamente non lo ricordo più …. So solo che quella donna, vero personaggio dello Yorkshire in tutto simile a quelli immortalati da Emily Brontë nel suo romanzo, nutrì per me durante tutto il soggiorno una vera e propria antipatia riservandomi solo smorfie e atteggiamenti sgarbati.
   E come se ciò non bastasse, grazie ai ‘capricci’ della ragazza che mi portavo dietro che, avendo perso da poco il fidanzato in un incidente stradale, si sentiva perseguitata dalle ombre della brughiera e dal fantasma di Heathcliff, dovetti rinunciare incredibilmente alle mie cinque notti pagandole a vuoto perché prenotate e affrettarmi a ritornare a Londra dopo soli due giorni di permanenza a Haworth !








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 Dicembre 1989


La mia seconda visita a Haworth, nel dicembre del 1989, durò solo un pomeriggio e, al di là del freddo pungente e dell'oscurità presto impadronitasi delle strade del paese già a partire dalle sedici, non mi ha lasciato altri ricordi se non qualche foto e il quadro della Parsonage che acquistai.




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Luglio/ Agosto 1999


    Ebbi modo di ritornare ancora a Haworth nel 1999 per tre giorni, questa volta con mio figlio che allora aveva appena nove anni. Ero sicura che con tale compagnia non avrei avuto problemi se non quelli legati forse ai capricci infantili che, in verità, devo dire non facevano nemmeno parte del comportamento abituale del mio bambino.

    Dietro prenotazione da parte di una mia cara amica inglese alloggiai questa volta in un altro cottage il cui proprietario, quando lo vedemmo per la prima volta, suscitò in mio figlio e me grandissima ilarità dato il suo 'formato': era un uomo grandissimo, calvo e baffuto, tutto ciccia, molto simile all'omino Michelin; gentile e molto garbato, M. ci accolse in una casetta talmente graziosa da sembrare quella di una bambola. Dappertutto infatti c'erano orsacchiotti, grandi, piccoli, di ogni dimensione, anche microscopici e collocati nei posti più strani ed impensati: che tenerezza, sapendo che gli inglesi vanno pazzi per i loro 'teddy-bears'! Per non parlare poi del bagno che, come in tutti i 'bed and breakfast' inglesi è quello del piano e di conseguenza viene frequentato dagli ospiti presenti al momento: era graziosamente 'popolato' da pappagalli multicolori e di tutte le fogge, chiaramente finti, che facevano capolino da tutti gli angoli possibili ed erano persino riprodotti sulla carta igienica o sulle asciugamani. Ma bene, pensai, questo soggiorno sarà davvero gradevole e ben compenserà le mancanze del primo ….

    Il giorno seguente la colazione, abbondantissima e tipicamente inglese, mi fu preparata dal simpatico M. in bermuda (beato lui che sentiva tanto caldo in quel gelido agosto del Nord) che poi loquacemente la servì anche ad un altro omaccione, simile a lui e seduto al mio tavolo, che bonariamente si accattivò dopo poco le simpatie e l'attenzione di mio figlio. Credevo che fosse un ospite pagante come me e non feci nemmeno caso alla sua presenza.

    Quel giorno e poi i seguenti mi attardai per strada nei negozietti del villaggio e nei vari posti letterari di mio interesse. Essendo io un viso nuovo e decisamente mediterraneo fra tante persone bionde con gli occhi azzurri, mi venne spesso chiesto dagli abitanti di Haworth dove alloggiassi e alla mia risposta, nella quale menzionavo il b&B in cui mi trovavo, udivo invariabilmente questo ritornello: ‘Oh, yes, you are at M, and D.’s’.

    Solo al terzo giorno di permanenza e quando mi fu servita ancora una buona colazione inglese preparata questa volta con la collaborazione del secondo omaccione, mi si aprì finalmente e in ritardo la mente: M. e Don. questi due super-ciccioni che avevo di fronte, erano due gay, come non avevo potuto pensarci prima? Avrebbero ben dovuto illuminarmi tutti quegli orsacchiotti e i pappagalli sparsi per la casa ….

    Mi venne allora da ridere, anzi dovetti proprio trattenermi perché per di più non potevo parlarne con nessuno, soprattutto con il mio ignaro bambino. Ma poi, una volta ritornata seria, pensandoci bene, mi resi conto di essere stata proprio fortunata questa volta: il secondo soggiorno a Haworth non avrebbe potuto andarmi meglio di così. Dove poteva sentirsi infatti più sicura e protetta una donna sola in una nazione straniera con un bambino se non a casa di due simpaticissimi ‘gay’ come questi?




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Autunno 1999


     Una volta tornata in Italia dal mio secondo soggiorno a Haworth, nell’autunno 1999 iniziai un nuovo meraviglioso viaggio, quello nel mondo telematico attraverso la neonata navigazione in Internet che in breve mi consentì di comunicare in inglese con persone, letterate e non, da tutto il mondo.
    Cominciai quindi con gioia a crearmi delle corrispondenze virtuali economizzando così il tempo di scrittura e relativa attesa della risposta da parte del ricevente, visto che sin da bambina le mie amicizie più importanti erano state quelle coltivate ‘via posta’.
    Fu così che una sera, navigando ancora da novizia attraverso i siti letterari di mio interesse, ne trovai uno molto carino, tutto decorato da graziosi porcellini multicolori, il cui autore risultava essere un tale Paul Bernard, uomo dello Yorkshire residente in Giappone auto-denominatosi ‘Kobuta’ e appassionato di …. maiali!
    Il sito riguardava precisamente le attrazioni del paesino inglese che io ben conoscevo: il suddetto personaggio possedeva lì una casa ove, quando era in Europa, trascorreva parte dell’anno e invitava chiunque avesse visitato Haworth o ne fosse interessato a scambiare pareri in merito.
    E’ chiaro che non ci pensai più di una volta e subito inviai una e-mail a Kobuta con la foto di me e mio figlio ripresi al centro della strada principale del paese come effettiva testimonianza di quell’ ultimo viaggio.
    Ebbene, quale non fu la mia meraviglia nel ricevere una subitanea risposta da costui! Ma, cosa ancor più strabiliante, il tale mi diceva di ‘averci visto’ a Haworth lo scorso agosto e di ricordarsi bene di me e di mio figlio, in quanto addirittura avevamo pranzato, pur non conoscendoci, nello stesso ottimo locale il giorno in cui egli aveva invitato a Haworth i genitori che non vedeva da tempo.
    Anche lui mi inviò una sua foto perché eventualmente lo riconoscessi ma, in pigiama e posa tipicamente giapponese, per me c’erano ben poche speranze di rammentarlo. Chiamai così il mio bambino e gli mostrai il volto del corrispondente, persuasa che anche a lui quel viso baffuto e orientaleggiante non avrebbe comunicato un bel nulla e rimasi più che stupita quando mio figlio con una risatina mi disse a sorpresa: ‘Ma come, mamma, non ti ricordi? Quest’ uomo qui era seduto al tavolo accanto al nostro in quel ristorante di Haworth dove mangiammo così bene ed era anche in compagnia di altre due persone’.

    Possibile che non mi fossi accorta di nulla? Tutti loro si erano ‘avvistati’ reciprocamente in quel piccolo ristorante ed io invece avevo pensato solo alla scelta del menu! Da quel momento in poi la e-corrispondenza, anche se in maniera molto saltuaria, fu avviata a colpi di …. porcellini e riproduzioni giapponesi, ma tacitamente io stabilii che, se in futuro me ne fosse capitata l’opportunità, nell’ eventuale soggiorno successivo a Haworth non mi sarei assolutamente fatta scappare l’occasione di conoscere questo bizzarro Paul Bernard di persona …..

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Luglio 2001


    Nell’ agosto 2001 mi recai per la quarta volta a Haworth ove mi trattenni tre giorni. Ero con mia figlia che aveva allora nove anni e con la mia amica Caterina accompagnata dal nipote undicenne.

    Chiaramente volli tornare a stare dai miei due cari M. e D. e, sicura di ottenere da loro ottima accoglienza, procurai alla partenza dall’Italia di inserire in valigia qualche pacco di spaghetti da destinare a quei due simpatici buongustai inglesi. Come prevedevo, M. fu ancora una volta gentilissimo, si dava da fare a ‘strapazzare’ uova al mattino presto e cercò anche volenterosamente di imparare a fare ‘the Italian coffee’ con la caffettiera e il caffè che io avevo portato con me. Inutile dire che il risultato era puntualmente ben diverso da quello italiano.

    Spesso io, la mia amica e i bambini, allontanandoci dal cottage, ci recavamo in brughiera nei vari momenti della giornata visto che la pioggia, sempre a portata di …. cielo non permetteva in essa lunghe passeggiate. I bambini, poco interessati a memorie letterarie, si divertivano invece a saltellare sulle antiche tombe prospicienti la canonica Brontë e chiedevano sempre di ritornare al cottage di M. e D. perché molto attratti dai gatti e da due pelosi cagnoni neri presenti in casa. Approfittavano così di conseguenza di tutti i momenti in cui trafelatamente noi ‘adulte’ correvamo al cottage a prelevare ombrelli e impermeabili asciutti per divertirsi ad accarezzare gli animali.

    Il secondo giorno del nostro soggiorno decisi di andare a conoscere finalmente Paul Bernard con il quale avevo fissato un appuntamento via e-mail prima della partenza.

    Ebbene si, l’anglo-giapponese ci accolse in casa invitandoci prima di tutto a toglierci le scarpe, secondo l’uso del Paese del Sol Levante e poi conducendoci nel suo salotto. Meraviglia delle meraviglie, tutto lì era a forma di …… maiale! Come nel sito Internet, ogni oggetto della stanza riconduceva a quel suino e, quando Paul ci portò in giro per la casa, l’impressione fu la stessa – addirittura i bambini, in preda a irrefrenabili risate, intravidero nel bagno persino il gabinetto a forma di porcellino!

    Dopo quel tour casalingo, il baffuto Paul che, in verità, non mi risultò tanto simpatico come avevo previsto apparendomi invece un po’ distante e ‘English-style’ più che giapponese, ci condusse nel suo garage e ci mostrò una jeep di provenienza bellica, molto interessante, sulla quale offrì all’istante di portarci a fare un giro in brughiera. Erano le nove di sera e io, pur di provare quell’esperienza, pensai di accettare entusiasticamente e senza indugio. Dovetti però fare i conti con la più realistica ponderatezza della mia amica che, con due bambini e di sera, non si fidava di uno sconosciuto che intendeva portarci in luoghi che a quell’ora e di per sé erano più che solitari.

      E purtroppo a malincuore e per spirito di gruppo, comprendendo il significato dei cenni disperati e accigliati di Caterina, mi ritrovai poco dopo a declinare incredibilmente un invito che per me era da sempre una delle cose più pazze che avrei voluto fare lì a Haworth! Mi sarebbe più capitata un’occasione del genere? Non lo credevo proprio e cercai di consolarmi solo pensando che le tenebre notturne, dopo tutto, mi avrebbero negato un’efficace visualizzazione della landa.



    Pochi minuti dopo, ancora alquanto arrabbiata, mi ritrovai quindi a percorrere con la mia amica e i bambini quei dieci metri in discesa che separavano il cottage di M. e D. dalla casa dell’anglo-giapponese. Entrammo aprendo la porta con la chiave affidataci, come d’usanza in Gran Bretagna, in quanto ospiti durante la nostra permanenza e ci rendemmo subito conto che la casa era disabitata. Non c’era nessuno in quel momento, tantomeno gli animali. Accendemmo quindi le luci, quelle più fioche, e ci accingemmo a salire su per le scale verso le nostre stanze.

    La mia amica mi precedeva con i bambini per cui con grande stupore, qualche attimo dopo, la sentii urlare terrorizzata come mai l’avevo udita nei tanti anni della nostra conoscenza. In quel breve lasso di tempo pensai davvero di tutto: c’era forse un ladro lì al piano di sopra, o forse un delinquente insinuatosi in casa di nascosto o addirittura un ‘ghost’, il fatidico fantasma presente per tradizione in tutte le case inglesi? Anche i bambini fecero eco a quelle grida e quindi io mi affrettai per le scale per portare soccorso ormai pronta a tutto.

    Un olezzo sgradevolissimo colpì subito le mie narici mentre Caterina continuava a sbraitare dicendo concitatamente frasi come ‘…maledetti cagnacci, ma come fanno a tenerli in casa?’ Il guaio era irreparabile: una volta accese le luci principali mi resi conto che la moquette del corridoio che portava alle stanze per gli ospiti era tutta ricoperta degli escrementi dei due cani dei padroni e che, cosa terribile, la mia amica vi era inconsapevolmente finita dentro! Inutile dire che le scarpe le si erano imbrattate completamente, e non solo: nella confusione del momento, direttasi in bagno, Caterina aveva sporcato senza volerlo anche la moquette bianca di quel piccolo ambiente invaso dai finti pappagalli!




    Scesi allora giù di corsa alla ricerca disperata del numero di cellulare di M. e, ancora quasi al buio cercai freneticamente una rubrica telefonica fra le mille cianfrusaglie a forma di orsacchiotto di cui ridondava la cucina. La trovai, infine, e in preda a grande nervosismo, riuscii a comporre, tremando, il numero. Il padrone di casa  mi rispose seraficamente dicendo di trovarsi con l’amico a cena nel ristorante di un paesino poco lontano da Haworth e che al momento non poteva venire in nostro aiuto. A quel punto cominciai io a sbraitare a gran voce nel ricevitore richiedendo la sua presenza immediata in casa per la situazione grottesca che si era venuta a creare e solo allora il padrone del cottage s’impegnò a raggiungerci entro breve tempo.

    Quando poco dopo il campanello della porta risuonò, non si trattava di M. ma di una donna, una vicina che, come io e la mia amica avemmo modo di appurare dopo qualche minuto, era stata pregata dallo stesso M. via-telefonino di accertare la gravità del danno e l’indispensabilità della sua presenza. La donna, già sulla soglia assalita dal nauseabondo olezzo, si rese subito conto della situazione e comunicò senza indugio con il padrone di casa pregandolo di tornare a Haworth con il compagno il più presto possibile.

    E fu così che i due omaccioni, armati di aspirapolvere speciale per moquettes e spray disinfettanti e deodoranti si affannarono tutta la notte a coprire odori e ripulire tappeti fra i risolini a stento trattenuti dei due bambini che li sbirciavano di nascosto, curvi e affaticati, con i grandi bermuda quasi cadenti che lasciavano scoperto un po’ del loro poderoso deretano. E in tutto ciò, tra un colpo di aspirapolvere e l’altro, a intervalli regolari, si udivano anche gli improperi della mia amica che continuava ossessivamente a ripetere ‘Clean my shoes, too, clean my shoes!’, ingiungendo cioè a M. e D. in maniera perentoria di ripulirle le scarpe!




    Il giorno dopo e sino alla fine del nostro soggiorno presso il cottage M. non fece altro che scusarsi per lo spiacevole inconveniente che, diceva, non si era mai verificato prima di allora. E’ inutile dire che la mia amica, ancora arrabbiata, giurò alla partenza di non mettere mai più piede (o scarpa?) in quel cottage nel caso di una futura permanenza a Haworth mentre invece io, accomiatandomi dai due gay, anche prima di entrare nel taxi diretto a Leeds, continuai a leggere ancora nei loro occhi buoni un genuino rammarico per l’accaduto.



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Luglio 2005

    Mi appresto ora a tornare a Haworth con mio figlio per la quinta volta. Ho già prenotato due notti da M. e D.: cosa mai potrà succedermi di ‘avventuroso’ in questo nuovo soggiorno? Visti i precedenti, sono sicura che non ci saranno smentite.
    Ho anche ricontattato via e-mail, dopo quattro anni di silenzio, Paul Bernard che ha espresso il desiderio di rivedermi, se possibile.
    Ebbene, gli ho risposto semplicemente che durante la mia permanenza non mancherò di andare a bussare, come l’altra volta, alla sua porta e ho aggiunto anche che, se il vecchio invito a percorrere la brughiera in jeep è ancora valido, non importa se di giorno o con le tenebre, io e mio figlio, ormai atletico quattordicenne, saremo felicissimi di accettare.
    Ed è stato proprio così, il nuovo soggiorno a Haworth non ha avuto smentite anzi si è rivelato più fortunato e imprevedibile di tutti i precedenti.
   Ma procederò con ordine: al momento di partire dall’Italia ho poi prenotato non più due ma cinque notti da M. e D., intenzionata stavolta a rimanere nel ‘mio’ villaggio il più possibile da sola con mio figlio per godermelo finalmente senza limiti di tempo; le mie amiche con un gruppetto di bambini sono infatti arrivate lì solo tre giorni dopo.
    Giunta a Haworth in taxi, con gioia ho ritrovato il M. di sempre ancora in bermuda e molto più grasso che in passato, oramai un uomo-bomba, e D. che invece, assai invecchiato, non cammina più tanto essendo giunto alla veneranda età di settantasette anni.
    Appena sistematici, la prima sorpresa: sole e caldo mai visti così in una zona d’Inghilterra di solito plumbea e piovosa in tutti i momenti dell’anno. L’atmosfera speciale, il silenzio, la Parsonage vista poco dopo il crepuscolo in maniera diversa dal solito, il fatto stesso di girare per le stradine a maniche corte e di sera in questo luglio inglese così particolare, mi hanno convinto subito che senza indugi avrei dovuto, l’indomani, avventurarmi a piedi a Top Withens, il luogo principe della brughiera che mai avevo potuto raggiungere nei precedenti soggiorni per motivi di …..  freddo, pioggia e fango! Era proprio la volta buona e non mi sarei fatta scappare questa occasione unica per nessun motivo al mondo! Il giorno seguente infatti, armata di un thermos di thè inglese, di biscotti e di un ombrello da usare non per la pioggia bensì questa volta contro il sole forte, come raccomandatomi premurosamente dal mio padrone di casa, ci avventurammo con mio figlio nel cuore della brughiera intenzionati a percorrere eroicamente a piedi i dieci chilometri che ci avrebbero condotto nel luogo prediletto da Emily Brontë.
    Ben tre ore furono necessarie per raggiungerlo, fra false partenze dovute alla mancata individuazione del giusto sentiero e marcia forzata di tipo militare in una landa desolata sotto il solleone. Altro che spedizione nordica, sembrava di essere coinvolti in un safari ove pecoroni belanti e avidi di biscotti si aggiravano in libertà su uno sfondo naturale mozzafiato in cui l’uomo e il progresso non hanno ancora avuto la meglio.



    Presto mi resi conto che, come previsto dal simpatico M., l’ombrello era la mia sola salvezza in quel tipo di situazione; oltre che ripararmi dal sole mi aiutò infatti a reggermi in piedi sulla via del ritorno e mi fece da sostegno quando stanchi e sudati dopo quella passeggiata incredibilmente faticosa riuscimmo con mio figlio a ritornare, incolumi e soddisfatti anche se stremati, dapprima al villaggio e poi al nostro ‘bed and breakfast’.
    Non appena varcatene la soglia il fragore di un tuono si fece sentire con tutta la sua violenza subito seguito da una pioggia torrenziale dalla quale ci eravamo salvati per puro miracolo! Ho saputo in seguito, vedendone addirittura una foto su Internet, che proprio in quel momento e in quel giorno la brughiera con tutte le zone ad essa circostanti  erano state colpite da quella che gli inglesi definiscono ‘flood’, non altro che un’inondazione seguita ad una potente tromba d’aria.
    Il giorno dopo e tutti i successivi furono però nuovamente prodighi di sole e di calore.  Con stupore un pomeriggio, mentre chiacchieravo con Don nel giardinetto antistante il cottage, assistetti ad una scena che ancora una volta mi indusse poi in privato alla più sfrenata ilarità: vidi infatti apparire ad un certo punto dinanzi al cancello un grassone abbastanza giovane e dai modi melliflui con in mano due gelati al cioccolato. Il modo in cui si avvicinò e la dolcezza con cui si rivolse a M., sopraggiunto sulla soglia di casa con indosso sui bermuda un coloratissimo grembiule da cucina a forma di ‘Union Jack’, mi fece questa volta capire all’istante la novità della situazione. Si trattava di un nuovo gay, praticamente il ‘sostituto’ di Don del quale costui aveva preso il posto per … motivi di sopraggiunta vecchiaia! Chissà da quanto tempo, mi chiesi, anche perché nei giorni seguenti lo rividi spesso intento ad aggirarsi per casa.
    Le mie amiche e i bambini, fra cui Caterina, arrivarono a Haworth il giovedì, come previsto, ed essendo in sei dovettero alloggiare necessariamente in un altro ‘bed and breakfast’,  in effetti un po’ distante dal mio e situato proprio al centro del paese. Spesso quindi mi recavo lì a incontrarle per poi fare insieme il giro degli allegri negozietti sempre aperti grazie al clima ottimale di quei giorni. Molti abitanti del posto, ormai abituati a vedermi per strada in continuazione e a tutte le ore, mi salutavano come se mi conoscessero da sempre procurandomi inconsapevolmente la gioia di farmi sentire finalmente parte di quel luogo. Ma uno in particolare, un uomo biondo che, come mi fu poi detto da Caterina, era non altri che il padrone del suo ‘bed and breakfast’, tale D. anche amico di M. e sposatissimo, mi salutava sempre con insistenza fissandomi con sguardo palesemente intrigante. Meraviglia, stupore e anche divertimento ….. avevo intercettato incredibilmente lì a Haworth per la prima volta dopo tanti viaggi nella terra di Albione l’unico inglese che riusciva a guardare una donna alla maniera italiana! Bravo guardone, avresti meritato un Oscar …..



    E giunse anche l’ultimo giorno di questa mia fortunatissima nuova permanenza a Haworth, quello in cui sempre attraverso Internet avevo combinato il famoso appuntamento con Paul Bernard.
   Dalla sera precedente mi ero messa di guardia a scrutare le finestre della sua villetta, contigua al cottage di M. e D., nella speranza che si illuminassero all’improvviso segnalando la presenza del padrone di casa in arrivo dal Giappone. Ma nulla successe sino alle undici di mattina del giorno dopo quando timidamente, pensando di disturbare, bussai più e più volte a quella porta senza tuttavia ottenere risposta.
   Forse Paul Bernard, stanco del lungo volo intercontinentale si concedeva un sonno ristoratore avendo completamente dimenticato il nostro appuntamento di quel giorno fissato, peraltro, solo per via telematica. Cominciai così a pensare che se la mattinata fosse trascorsa senza alcuna novità, avrei dovuto purtroppo rinunciare ad incontrare l’anglo-giapponese, dato che la mia partenza da Haworth era prevista per il primo pomeriggio.
   Ad un certo punto però, mentre chiedevo ad un vicino se avesse scorto per caso quel mattino dei ‘segni di vita’ in quella casa quasi tutto l’anno disabitata, avvistai una splendida auto rossa da corsa in discesa il cui autista, semi-nascosto da un cappellaccio bianco alla Humphrey Bogart, mi sembrò essere proprio …. Paul Bernard! Fu questione di un attimo ma io lo riconobbi all’istante. Allora si era davvero dimenticato del tutto di me e dell’appuntamento e andava scorazzando allegramente per il villaggio! L’auto scoperta era subito scomparsa e difficilmente avrei rivisto apparire il suo proprietario prima di due ore, dato che come mi suggeriva il vicino, di solito quel signore lì una volta partito per i suoi giri nello Yorkshire non tornava a casa prima di sera.
    Al colmo della costernazione e ancora chiedendomi i motivi di tale dimenticanza da parte dell’imprevedibile Paul Bernard, vidi all’improvviso che la sua porta di casa si apriva inquadrandolo sull’uscio.
   Non mi sembrava vero, eppure si trattava proprio di lui, che mi faceva segno di avvicinarmi e già mi salutava. Meno male, dopotutto non era andato lontano e, come mi disse poco dopo, aveva solo ‘depositato’ nel garage sul retro quel suo destriero rosso fuoco da poco acquistato e appena collaudato.
   Ed ecco che, poco dopo, ebbe inizio la grande imprevedibile avventura di questo mio soggiorno a Haworth. Paul, che questa volta sembrava disponibilissimo e molto gentile, invitò me e mio figlio a fare il famoso ‘giro’ in brughiera ma non sulla vecchia jeep bensì su quel bellissimo bolide rosso senza tettuccio corrispondente al nome di Morgan, cioè un facsimile della nostra Ferrari!! Come rifiutare una proposta del genere? Eravamo, io e mio figlio, al colmo dell’entusiasmo e, pensai, non avevo forse io atteso per anni proprio un momento come questo?
   Con fatica riuscii ad entrare nel piccolo abitacolo ma non accanto all’autista, posto privilegiato che lasciai a mio figlio, mentre Paul Bernard mi porgeva, guarda un po’, proprio il cappellaccio bianco da mettere in testa per proteggermi dal sole. Mi disse che assolutamente non avrei dovuto perderlo (pena, come si diceva un tempo nello Yorkshire, il taglio della gola!) ed io, divertita, lo appoggiai subito sulla mia folta capigliatura.
   Così partimmo e già dopo qualche attimo, roboando, il bolide cominciò a prendere velocità mentre si lasciava in tutta fretta alle spalle il villaggio. Il vento freddo che mi sferzava il viso, la sensazione incredibile di essere sulla più sfrenata delle giostre e la paura di perdere il cappello che ero costretta a tenere ben fermo con ambedue le mani, mi portarono in breve ad un’ilarità senza fine. Ridevo e mi sentivo davvero come Grace Kelly in quella famosa scena del film ‘Caccia al ladro’ provando in quel momento un’ebbrezza che difficilmente posso descrivere a parole.
   Ma che bell’ imprevisto mi era stato riservato proprio per quell’ultimo giorno di permanenza a Haworth! L’immensa brughiera illuminata ancora dal sole, che ogni tanto ammiravo quando l’auto rallentava e il vento mi dava un po’ di tregua, era davvero uno spettacolo inaspettato!
Ad un certo punto del percorso Paul Bernard fermò la Morgan dalla quale presto scendemmo per contemplare dall’alto e con calma la splendida vista. Ci immortalammo in qualche foto ricordo, naturalmente dinanzi a quell’incredibile destriero rosso e presto la folle corsa riprese; solo dopo un’altra ventina di minuti ritornammo finalmente a Haworth.



   Che avventura, e dire che per poco avevo rischiato ancora una volta di perdere tale incredibile opportunità! Gustammo poi con mio figlio, anche se a piedi nudi secondo l’usanza orientale, un inglesissimo tè per nulla giapponese offertoci in casa sua dal simpatico Paul: ormai costui non era più l’uomo freddo e compassato che avevo conosciuto quattro anni addietro, bensì una persona gioviale e dotata di un forte senso dell’ospitalità.

   E fu così che, il giorno dopo, in volo da Manchester, ripercorrendo mentalmente sulle note di una bellissima canzone di Elton John i giorni da fiaba che avevo appena trascorso nel mio ‘paesino d’adozione’, non potei fare a meno di sentirmi più che mai riconoscente alla vita che, ancora una volta, mi aveva regalato proprio lì grandi emozioni come queste e un’ ulteriore splendida esperienza.

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Luglio 2007

  Anche il mio sesto soggiorno a Haworth fu meraviglioso. Ai primi di luglio del 2007 la vecchia Inghilterra era stata flagellata dalle alluvioni ed io mi ero trovata al mio arrivo proprio nel mezzo di una tale situazione, annunciata ripetutamente da telegiornali e quotidiani con quel senso di allarmismo tipicamente inglese.
    A Haworth, per fortuna, le ‘floods’ non si  avvertirono in modo particolare, anche se un grande freddo e un po’ di pioggia non mancarono durante il periodo beato di sette giorni che lì trascorsi. Ebbene, l’avventura più esilarante che vissi nel ‘mio’ paesino ancora una volta si incentrò proprio sulla giornata trascorsa con Richard Wilcocks, membro del Consiglio direttivo della BS e al tempo editore della BS Gazette.
    Avevamo infatti fissato un appuntamento via Internet perché ambedue eravamo ansiosi di conoscerci di persona per chiacchierare e bere magari qualcosa insieme. Il luogo prescelto per l’incontro era la Parsonage e, puntualmente intorno alle undici dopo la visita di rito, mi affacciai nello shop dove mia figlia aspettava pazientemente che io finissi il giro del mio ‘sacrario’. E lui, Richard, era lì che già mi attendeva in maniera discreta, alquanto diverso dalla foto che tutti noi soci BS avevamo visto sulla Gazette e, in realtà, un bel ‘pezzo d’uomo’ alto e imponente con i capelli brizzolati e l’aria simpatica. Avrei scoperto poi in lui nell’arco della stessa mattinata con sorpresa una qualità inconsueta da quella dei normali inglesi e cioè la sua incredibile loquacità: in linea di massima Richard  chiacchierò in continuazione durante tutto il nostro incontro, trovando fortunatamente in me una altrettanto ciarliera interlocutrice!
    Il tempo, ancora una volta e come sempre in Inghilterra, non prometteva niente di buono: io e mia figlia eravamo bardate di giacche a vento, ombrelli e sciarpe ed il cielo bianco-grigio pieno di nuvoloni faceva presagire senza ombra di dubbio l’imminente pioggia. Non appena effettuata l’agnizione Richard Wilcocks propose a sorpresa una passeggiata immediata in brughiera, magari non a Top Withens vista la muta perplessità mia e di mia figlia, ma alle Brontë Falls, luogo un po’ più vicino da raggiungere, solo otto chilometri tra andata e ritorno.
    Figurarsi le nostre espressioni attonite e poi …… con quel tempaccio! No, no, e se si fosse abbattuta una tempesta? Dove ci saremmo mai riparati? La ferma insistenza di lui piegò però anche le ultime recalcitranti resistenze di mia figlia e, solo per non sembrare scortesi, partimmo per la brughiera scarsamente convinte e ormai disposte a tutto.



    In breve però pioggerella, fango, pietre e soprattutto vento, proprio quello freddo e sferzante descritto da Emily nel suo romanzo allontanarono ogni preoccupazione dinanzi allo splendido paesaggio naturale che si propose alla nostra vista una volta inoltratici sul grezzo sentiero. Il verde intenso che ci circondava e che all’infinito si estendeva con l’erica ancora in boccio e le pecore lanose col muso nero tipiche dello Yorkshire da cui eravamo circondati fecero sentire me e mia figlia più che mai simili ad avventurose pioniere sotto quel cielo plumbeo e minaccioso.



    Come  Dio volle, riuscimmo ad arrivare alle cosiddette Brontë Falls, il posto in cui i ragazzi Brontë sin da piccoli si recavano nelle loro sortite in brughiera soffermandosi poi per riposare e guardare ‘the meeting of the waters’ , come essi stessi avevano battezzato quel posto. Ed in effetti la piccola valle in cui un ruscello scorre vorticosamente addentrandosi tra lastroni e muschio e sul quale è stato eretto un rustico ponticello di pietra, è un autentico incanto. Foto e citazioni brontëane non bastano a riprodurre la sensazione di pace e di contatto con la natura che si provano proprio in quel luogo: ecco perché Emily riusciva a ispirarsi per le poesie in maniera tanto superba!



    E Richard, dimostratosi piacevolissimo interlocutore oltre che infaticabile camminatore continuava a illustrarmi i mille aspetti di quel paesaggio idillico, facendo soffermare il mio interesse sulla digitale rossa, un fiore particolare che cresce in luglio solo nei luoghi freddi, e su Top Withens che si poteva intravedere solitaria a poca distanza e immersa nel verde.
    Dopo un certo tempo iniziammo il percorso a ritroso con mia figlia in testa al sentiero. La pioggia ci diede una tregua e il cammino questa volta sembrò stranamente più breve: presto ritornammo quindi all’auto di Richard che, con grande cortesia, ci portò a Stanbury a bere qualcosa in un pub prima di accomiatarsi da noi.
    Ebbene, fu solo al termine di questa grandiosa camminata che pensai alla fortuna capitatami quel giorno: senza la risolutezza di Richard, nuovo amico BS ed esperto conoscitore di sentieri, non mi sarei mai avventurata nella landa con un tempaccio simile e nemmeno l’avrei fatto, da sola, nei giorni successivi. Avrei perso così, scioccamente, una nuova splendida occasione per ‘respirare’ la brughiera e vedere da vicino le suggestive Brontë Falls.




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Agosto 2009


     Dopo altri due anni eccomi ancora una volta a Haworth nel pieno dell’estate in un inizio d’agosto che, spero, veda il fulgore dell’erica in fiore nella brughiera. Sono reduce da una tre giorni di ‘full immersion’ Brontë avendo partecipato come unica italiana alla Conferenza Internazionale tenutasi a York. Mi tratterrò quattro notti questa volta ma presto mi accorgo che tante, troppe cose sono cambiate a soli due anni dalla mia permanenza qui.
    Non appena giunta il mio gigantesco padrone di casa, dopo avermi accolto con un sorriso stavolta più mesto che in passato, mi aggiorna subito sulle novità della casa e del villaggio; Don, l’altro proprietario, ormai è molto malato e di lui, invisibile presenza relegata nell’ala retrostante del B&b si occupa l’assistentato sociale; il simpatico vecchietto che vendeva tappeti di pelliccia dall’altro lato della strada e anche l’antiquario del negozio di fronte sono morti e addirittura il gestore della drogheria Sowden al centro del paese dinanzi alla chiesa si è impiccato. Inevitabili avvisaglie di mutamento, una generazione che scompare …. alla domanda che gli pongo chiedendo che tipo di negozio sostituirà quello dell’antiquario Mike mi risponde che sta per essere allestito un centro benessere. Ma siamo matti, rifletto fra me, massaggi e saune a Haworth?
     Il giorno dopo, percorrendo la salita di High Street, percorso obbligato ma divenuto ormai per me una consuetudine inevitabile, noto la varietà di negozietti che espongono come sempre quando c’è il sole i loro prodotti in grandi cestini. Sbirciando fra essi con più attenzione mi accorgo però con stupore che non contengono affatto souvenirs Brontë, come sempre succedeva in passato, ma che lì in quegli espositori e nelle vetrine circostanti ci sono invece chincaglierie da strapazzo, prodotti dolciari, addirittura cuoio e pellami forse italiani. Volgo lo sguardo in giro e rimango senza fiato: dinanzi a me ho un emporio di formaggi, pochi passi più avanti vedo un negozietto di orecchini e collane in plastica dalla seducente insegna ‘Passion’ e, più su, accanto allo storico ufficio postale e proprio dinanzi alla chiesa, un ‘Pet care shop’, vale a dire un ‘tutto per cani’!!
     Ma dove sono finite le sorelle Brontë, dov’è più il loro paesino incantato rimasto come sospeso nel tempo? Incredibilmente anche qui tutto è stato fagocitato dalla globalizzazione! Cerco allora di entrare in qualche negozio per acquistare dei souvenirs, magari ci sarà ancora un pacco di biscotti o un po’ di cioccolata che riproduca sull’involucro l’effigie delle sorelle letterate che tanto hanno contribuito negli ultimi due secoli alla fama di Haworth. Mi ritrovo invece attorniata da giovanissimi commessi o da vecchiette sorridenti che dal retro del bancone gentilmente mi ringraziano anche se non compro nulla terminando sempre la frase con ‘honey’ o ‘love’. Ancora stupore e sbalordimento: ma quando mai questi rudi abitanti dello Yorkshire hanno riservato in passato un trattamento simile agli sconosciuti? Emily Brontë ci insegna, e se solo ripenso alla mia prima venuta qui a Haworth più di un quarto di secolo fa, che abissale differenza di modi!
     Sono triste e mi avvio verso chiesa e Parsonage, pronta ad attendermi nuove spiacevoli sorprese: difatti la chiesa è solitaria, non c’è più la simpatica ‘reverenda’ Jenny di due anni fa ma tutto tace in attesa di un invisibile curato che, difatti, non si è poi visto nemmeno da lontano nei successivi tre giorni. Nella Parsonage finalmente tiro un respiro di sollievo, mi sembra che tutto sia al proprio posto come lo è sempre stato, anzi qui i nuovi accorgimenti tecnologici del ventunesimo secolo hanno sortito addirittura effetti strabilianti per chi vuole conoscere le scrittrici da vicino: c’è una mostra di foto bellissime appese alle pareti delle varie stanze che riproducono vari paesaggi di brughiera e qua e là per la Parsonage i costumi originali della nuovissima e ancora inedita versione di Wuthering Heights realizzata di recente dall’ITV, mentre il museo espone i memorabilia brontëani mai prima apparsi catalogandoli per la prima volta in aree tematiche. Forse bisogna rassegnarsi, penso, il sacrario brontëano ormai è tutto concentrato lì, e tanto più apprezzabile mi sembra di conseguenza lo sforzo di chi, nella Brontë Society, si dà da fare per sortire tale effetto.




     E’ la volta della brughiera. Mi avvio a piedi percorrendo il solito sentiero solitario e finalmente dopo poco la vedo, fiorita e immutabile come sempre, non ancora intaccata dal progresso. Ma per quanto ancora, mi chiedo, e non so darmi una risposta. Anche l’erica appena sbocciata sembra riflettere al sole una tonalità diversa dall’usuale: non è color fucsia come in passato, bensì di un caldo color glicine che la rende diversa e che mi spinge a coglierla per guardare il fenomeno da vicino. Quali e quanti cambiamenti stavolta anche in natura!









     Trascorro così in una incredulità rassegnata i miei tre giorni a Haworth, ho anche modo di intrattenermi a sorpresa con Paul Bernard, l’amico anglo-giapponese che stavolta ho incontrato in strada per caso, e come sempre l’ultima sera mi sento malinconica al pensiero di lasciare ancora una volta quello che è sempre e comunque il ‘mio’ paesino. Ma un miracolo mi attende proprio all’uscita del pub a mezza salita ove ho cenato: per caso guardo in alto, lì verso quello sprazzo di cielo che ormai, terminato il crepuscolo, ha assunto un colore blu scuro. E la vedo. E’ la luna piena, un globo candido e luminoso miracolosamente sospeso e visibile in quel cielo che mai era stato così terso. Riesco a stento a fotografarla ma è già scomparsa dietro una nuvola scura. Insperabilmente la vista di quella luna, proprio l’antica beniamina di Charlotte Brontë, mi ha regalato una delle emozioni più profonde che mai ho provato nei miei tanti soggiorni a Haworth,

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E ancora fui a Haworth nel 2016 e nel 2018 .....
                                                                                     

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Alcuni oggetti  esclusivi Bs e della Haworth 
anni '80 - '90 - 2000
(oggi rari o inesistenti):


Scatola Brontë contenente toffees in metallo (primi anni '80) 
(rara)



Fazzolettino con i volti stampati di Charlotte, Emily e Anne 
(primi anni '80)
(introvabile)




Essenza di profumo 'Brontë Dream'  (primi anni '80)
(introvabile)




Statuetta raffigurante Charlotte Brontë (anni '80)
(rara)




Cravatta per soci  BS (primi anni '80)
(introvabile)


Segnalibro della BS  'Classic Novels' celebrativo dei 150 anni 
dalla pubblicazione dei romanzi Brontë (anni '90)
(raro)



Spilla per socie/i  BS in argento (anni '90)
(introvabile)

Mestolo dipinto a mano venduto da 'Sowden's' di Haworth
 (fine anni '90)
(introvabile)




Dagli anni  '2000 ad oggi  ......



Spilla con silhouette di Emily (primi anni '2000)
(introvabile)



Piccola sezione di tronco del pino piantato da Charlotte dinanzi alla Parsonage nel giorno del suo matrimonio (edizione limitata a 250 esemplari) tagliato lunedì 28 gennaio 2008.
(introvabile)


Bustine profumate di fiori di brughiera 
(ancora disponibili a Haworth)



Liquore Brontë in edizione limitata per il bicentenario di Charlotte
(raro)

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