Tanti sono i ricordi dei miei numerosi viaggi a Haworth, a partire dal lontano 1983 quando per la prima volta mi recai nello Yorkshire, per arrivare sino ad oggi.
E per ogni viaggio, c'è un oggetto particolare, acquistato o ricevuto, che testimonia nel tempo il mio soggiorno nella magica terra delle sorelle Brontë.
I primi sei soggiorni a Haworth sono corredati dal racconto, spesso divertente e ironico, delle avventure capitatemi nel corso degli anni nel famoso villaggio, episodi incredibili che a tutt'oggi annovero fra i miei ricordi più belli.
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Luglio 1983
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Autunno 1999
Luglio 2001
E giunse anche l’ultimo giorno di questa mia fortunatissima nuova
permanenza a Haworth, quello in cui sempre attraverso Internet avevo combinato
il famoso appuntamento con Paul Bernard.
Agosto 2009
Alcuni oggetti esclusivi Bs e della Haworth
anni '80 - '90 - 2000
Scatola Brontë contenente toffees in metallo (primi anni '80)
I primi sei soggiorni a Haworth sono corredati dal racconto, spesso divertente e ironico, delle avventure capitatemi nel corso degli anni nel famoso villaggio, episodi incredibili che a tutt'oggi annovero fra i miei ricordi più belli.
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Luglio 1983
Riuscii a
recarmi a Haworth per la prima volta nel
1983. Con incredibile tenacia mi ero guadagnata da sola mediante traduzioni e
lezioni private tutto il denaro necessario per quel viaggio riuscendo quindi a
prenotare, con l’aiuto di un ‘alunno’ medico a cui insegnavo a parlare inglese
presso una scuola privata, un ‘bed and breakfast’ proprio al centro del
villaggio. Allora non esisteva Internet, per cui l’amico radioamatore aveva
prenotato l’ alloggio per me via etere, cosa che sembrava stranissima secondo
la mentalità d’allora.
Ebbene, giunta sul posto con una ragazza che, in verità, poco conoscevo
ma che mi servì da ‘copertura’ per convincere mio padre a farmi avventurare da
sola nell’amata Inghilterra, mi ritrovai subito in una situazione a dir poco
paradossale.
Era sera e avevo con me solo dei
‘Travellers’ cheques’, nemmeno una sterlina. La padrona del ‘bed and
breakfast’, donna anziana forse analfabeta, che probabilmente non era mai
uscita da quel suo remoto villaggio, riusciva a esprimersi solo attraverso lo
strettissimo dialetto dello Yorkshire, notoriamente incomprensibile anche ai
londinesi e, cosa ancor più grave, non capiva affatto quel che io dicevo in
inglese. La mia compagna di viaggio invece non parlava affatto, conoscendo poco
la lingua.
Dopo un buon quarto d’ora di gesti e parole
inutilmente scandite da ambo le parti, la donna
ormai spazientita per l’assoluta
mancanza di comunicazione, ci lasciò lì per strada attorniate dai nostri
bagagli e dopo pochi attimi riapparve con un’altra donna anch’essa anziana ma
più giovane di lei, praticamente chiamata a fare da …. interprete!
Non appena la vecchia padrona del ‘bed and
breakfast’ si rese conto che io non avevo da consegnarle le sterline ma solo
‘pezzi di carta’, come lei chiamava gli assegni non riuscendo assolutamente a
capire che erano l’equivalente in soldi di quanto le dovevo per le cinque notti
prenotate, cominciò a dimenarsi, a urlare e addirittura minacciò me e la mia
seguace, anche lei a corto di sterline, di …..sbatterci fuori all’istante. Ma
quando mai avevamo varcato la porta di quel cottage?
Erano ormai le undici di sera, non sapevo
proprio dove andare e non conoscevo affatto il villaggio. Fu solo grazie
all’intervento della donna-interprete che la testarda padrona si placò
ospitandoci per quella notte, ma solo a condizione che l’indomani mattina alle
sette in punto le sterline sonanti fossero nelle sue mani. Non le importava
affatto, disse, che la banca si trovasse a circa venti chilometri di distanza!
Come riuscii a risolvere la spinosa
questione, onestamente non lo ricordo più …. So solo che quella donna, vero
personaggio dello Yorkshire in tutto simile a quelli immortalati da Emily
Brontë nel suo romanzo, nutrì per me durante tutto il soggiorno una vera e propria
antipatia riservandomi solo smorfie e atteggiamenti sgarbati.
E come se ciò non bastasse, grazie ai
‘capricci’ della ragazza che mi portavo dietro che, avendo perso da poco il
fidanzato in un incidente stradale, si sentiva perseguitata dalle ombre della
brughiera e dal fantasma di Heathcliff, dovetti rinunciare incredibilmente alle
mie cinque notti pagandole a vuoto perché prenotate e affrettarmi a ritornare a
Londra dopo soli due giorni di permanenza a Haworth !
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Dicembre 1989
La mia
seconda visita a Haworth, nel dicembre del 1989, durò solo un pomeriggio e, al
di là del freddo pungente e dell'oscurità presto impadronitasi delle strade del
paese già a partire dalle sedici, non mi ha lasciato altri ricordi se non
qualche foto e il quadro della Parsonage che acquistai.
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Luglio/ Agosto 1999
Ebbi modo di ritornare ancora a Haworth nel
1999 per tre giorni, questa volta con mio figlio che allora aveva appena nove
anni. Ero sicura che con tale compagnia non avrei avuto problemi se non quelli
legati forse ai capricci infantili che, in verità, devo dire non facevano nemmeno
parte del comportamento abituale del mio bambino.
Dietro prenotazione da parte di una mia
cara amica inglese alloggiai questa volta in un altro cottage il cui
proprietario, quando lo vedemmo per la prima volta, suscitò in mio figlio e me
grandissima ilarità dato il suo 'formato': era un uomo grandissimo, calvo e
baffuto, tutto ciccia, molto simile all'omino Michelin; gentile e molto garbato,
M. ci accolse in una casetta talmente graziosa da sembrare quella di una
bambola. Dappertutto infatti c'erano orsacchiotti, grandi, piccoli, di ogni
dimensione, anche microscopici e collocati nei posti più strani ed impensati:
che tenerezza, sapendo che gli inglesi vanno pazzi per i loro 'teddy-bears'!
Per non parlare poi del bagno che, come in tutti i 'bed and breakfast' inglesi
è quello del piano e di conseguenza viene frequentato dagli ospiti presenti al
momento: era graziosamente 'popolato' da pappagalli multicolori e di tutte le
fogge, chiaramente finti, che facevano capolino da tutti gli angoli possibili
ed erano persino riprodotti sulla carta igienica o sulle asciugamani. Ma bene,
pensai, questo soggiorno sarà davvero gradevole e ben compenserà le mancanze
del primo ….
Il giorno seguente la colazione,
abbondantissima e tipicamente inglese, mi fu preparata dal simpatico M. in
bermuda (beato lui che sentiva tanto caldo in quel gelido agosto del Nord) che
poi loquacemente la servì anche ad un altro omaccione, simile a lui e seduto al
mio tavolo, che bonariamente si accattivò dopo poco le simpatie e l'attenzione
di mio figlio. Credevo che fosse un ospite pagante come me e non feci nemmeno
caso alla sua presenza.
Quel giorno e poi i seguenti mi attardai
per strada nei negozietti del villaggio e nei vari posti letterari di mio
interesse. Essendo io un viso nuovo e decisamente mediterraneo fra tante
persone bionde con gli occhi azzurri, mi venne spesso chiesto dagli abitanti di
Haworth dove alloggiassi e alla mia risposta, nella quale menzionavo il b&B
in cui mi trovavo, udivo invariabilmente questo ritornello: ‘Oh, yes, you are
at M, and D.’s’.
Solo al terzo giorno di permanenza e quando
mi fu servita ancora una buona colazione inglese preparata questa volta con la
collaborazione del secondo omaccione, mi si aprì finalmente e in ritardo la
mente: M. e Don. questi due super-ciccioni che avevo di fronte, erano due gay,
come non avevo potuto pensarci prima? Avrebbero ben dovuto illuminarmi tutti
quegli orsacchiotti e i pappagalli sparsi per la casa ….
Mi venne allora da ridere, anzi dovetti
proprio trattenermi perché per di più non potevo parlarne con nessuno,
soprattutto con il mio ignaro bambino. Ma poi, una volta ritornata seria,
pensandoci bene, mi resi conto di essere stata proprio fortunata questa volta:
il secondo soggiorno a Haworth non avrebbe potuto andarmi meglio di così. Dove
poteva sentirsi infatti più sicura e protetta una donna sola in una nazione
straniera con un bambino se non a casa di due simpaticissimi ‘gay’ come questi?
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Autunno 1999
Una volta tornata in Italia dal mio secondo
soggiorno a Haworth, nell’autunno 1999 iniziai un nuovo meraviglioso viaggio,
quello nel mondo telematico attraverso la neonata navigazione in Internet che
in breve mi consentì di comunicare in inglese con persone, letterate e non, da
tutto il mondo.
Cominciai quindi con gioia a crearmi delle
corrispondenze virtuali economizzando così il tempo di scrittura e relativa
attesa della risposta da parte del ricevente, visto che sin da bambina le mie amicizie
più importanti erano state quelle coltivate ‘via posta’.
Fu così che una sera, navigando ancora da
novizia attraverso i siti letterari di mio interesse, ne trovai uno molto
carino, tutto decorato da graziosi porcellini multicolori, il cui autore
risultava essere un tale Paul Bernard, uomo dello Yorkshire residente in
Giappone auto-denominatosi ‘Kobuta’ e appassionato di …. maiali!
Il sito riguardava
precisamente le attrazioni del paesino inglese che io ben conoscevo: il
suddetto personaggio possedeva lì una casa ove, quando era in Europa, trascorreva
parte dell’anno e invitava chiunque avesse visitato Haworth o ne fosse
interessato a scambiare pareri in merito.
E’ chiaro che non ci pensai più di una
volta e subito inviai una e-mail a Kobuta con la foto di me e mio figlio
ripresi al centro della strada principale del paese come effettiva
testimonianza di quell’ ultimo viaggio.
Ebbene, quale non fu la mia meraviglia nel
ricevere una subitanea risposta da costui! Ma, cosa ancor più strabiliante, il
tale mi diceva di ‘averci visto’ a Haworth lo scorso agosto e di ricordarsi
bene di me e di mio figlio, in quanto addirittura avevamo pranzato, pur non
conoscendoci, nello stesso ottimo locale il giorno in cui egli aveva invitato a
Haworth i genitori che non vedeva da tempo.
Anche lui mi inviò una sua foto perché
eventualmente lo riconoscessi ma, in pigiama e posa tipicamente giapponese, per
me c’erano ben poche speranze di rammentarlo. Chiamai così il mio bambino e gli
mostrai il volto del corrispondente, persuasa che anche a lui quel viso baffuto
e orientaleggiante non avrebbe comunicato un bel nulla e rimasi più che stupita
quando mio figlio con una risatina mi disse a sorpresa: ‘Ma come, mamma, non ti
ricordi? Quest’ uomo qui era seduto al tavolo accanto al nostro in quel
ristorante di Haworth dove mangiammo così bene ed era anche in compagnia di
altre due persone’.
Possibile che non mi fossi accorta di
nulla? Tutti loro si erano ‘avvistati’ reciprocamente in quel piccolo
ristorante ed io invece avevo pensato solo alla scelta del menu! Da quel
momento in poi la e-corrispondenza, anche se in maniera molto saltuaria, fu
avviata a colpi di …. porcellini e riproduzioni giapponesi, ma tacitamente io
stabilii che, se in futuro me ne fosse capitata l’opportunità, nell’ eventuale
soggiorno successivo a Haworth non mi sarei assolutamente fatta scappare
l’occasione di conoscere questo bizzarro Paul Bernard di persona …..
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Luglio 2001
Nell’ agosto 2001
mi recai per la quarta volta a Haworth ove mi trattenni tre giorni. Ero con mia
figlia che aveva allora nove anni e con la mia amica Caterina accompagnata dal
nipote undicenne.
Chiaramente volli tornare a stare dai miei
due cari M. e D. e, sicura di ottenere da loro ottima accoglienza, procurai
alla partenza dall’Italia di inserire in valigia qualche pacco di spaghetti da
destinare a quei due simpatici buongustai inglesi. Come prevedevo, M. fu ancora
una volta gentilissimo, si dava da fare a ‘strapazzare’ uova al mattino presto
e cercò anche volenterosamente di imparare a fare ‘the Italian coffee’ con la
caffettiera e il caffè che io avevo portato con me. Inutile dire che il
risultato era puntualmente ben diverso da quello italiano.
Spesso io, la mia amica e i bambini,
allontanandoci dal cottage, ci recavamo in brughiera nei vari momenti della giornata
visto che la pioggia, sempre a portata di …. cielo non permetteva in essa
lunghe passeggiate. I bambini, poco interessati a memorie letterarie, si
divertivano invece a saltellare sulle antiche tombe prospicienti la canonica
Brontë e chiedevano sempre di ritornare al cottage di M. e D. perché molto
attratti dai gatti e da due pelosi cagnoni neri presenti in casa.
Approfittavano così di conseguenza di tutti i momenti in cui trafelatamente noi
‘adulte’ correvamo al cottage a prelevare ombrelli e impermeabili asciutti per
divertirsi ad accarezzare gli animali.
Il secondo giorno del nostro soggiorno
decisi di andare a conoscere finalmente Paul Bernard con il quale avevo fissato
un appuntamento via e-mail prima della partenza.
Ebbene si, l’anglo-giapponese ci accolse in
casa invitandoci prima di tutto a toglierci le scarpe, secondo l’uso del Paese
del Sol Levante e poi conducendoci nel suo salotto. Meraviglia delle
meraviglie, tutto lì era a forma di …… maiale! Come nel sito Internet, ogni
oggetto della stanza riconduceva a quel suino e, quando Paul ci portò in giro
per la casa, l’impressione fu la stessa – addirittura i bambini, in preda a
irrefrenabili risate, intravidero nel bagno persino il gabinetto a forma di
porcellino!
Dopo
quel tour casalingo, il baffuto Paul che, in verità, non mi risultò tanto
simpatico come avevo previsto apparendomi invece un po’ distante e
‘English-style’ più che giapponese, ci condusse nel suo garage e ci mostrò una
jeep di provenienza bellica, molto interessante, sulla quale offrì all’istante
di portarci a fare un giro in brughiera. Erano le nove di sera e io, pur di
provare quell’esperienza, pensai di accettare entusiasticamente e senza
indugio. Dovetti però fare i conti con la più realistica ponderatezza della mia
amica che, con due bambini e di sera, non si fidava di uno sconosciuto che
intendeva portarci in luoghi che a quell’ora e di per sé erano più che
solitari.
E purtroppo a malincuore e per spirito di
gruppo, comprendendo il significato dei cenni disperati e accigliati di
Caterina, mi ritrovai poco dopo a declinare incredibilmente un invito che per
me era da sempre una delle cose più pazze che avrei voluto fare lì a Haworth!
Mi sarebbe più capitata un’occasione del genere? Non lo credevo proprio e
cercai di consolarmi solo pensando che le tenebre notturne, dopo tutto, mi
avrebbero negato un’efficace visualizzazione della landa.
Pochi minuti dopo,
ancora alquanto arrabbiata, mi ritrovai quindi a percorrere con la mia amica e
i bambini quei dieci metri in discesa che separavano il cottage di M. e D.
dalla casa dell’anglo-giapponese. Entrammo aprendo la porta con la chiave
affidataci, come d’usanza in Gran Bretagna, in quanto ospiti durante la nostra
permanenza e ci rendemmo subito conto che la casa era disabitata. Non c’era
nessuno in quel momento, tantomeno gli animali. Accendemmo quindi le luci,
quelle più fioche, e ci accingemmo a salire su per le scale verso le nostre
stanze.
La mia amica mi precedeva con i bambini per
cui con grande stupore, qualche attimo dopo, la sentii urlare terrorizzata come
mai l’avevo udita nei tanti anni della nostra conoscenza. In quel breve lasso
di tempo pensai davvero di tutto: c’era forse un ladro lì al piano di sopra, o
forse un delinquente insinuatosi in casa di nascosto o addirittura un ‘ghost’,
il fatidico fantasma presente per tradizione in tutte le case inglesi? Anche i
bambini fecero eco a quelle grida e quindi io mi affrettai per le scale per
portare soccorso ormai pronta a tutto.
Un olezzo sgradevolissimo colpì subito le
mie narici mentre Caterina continuava a sbraitare dicendo concitatamente frasi
come ‘…maledetti cagnacci, ma come fanno a tenerli in casa?’ Il guaio era
irreparabile: una volta accese le luci principali mi resi conto che la moquette
del corridoio che portava alle stanze per gli ospiti era tutta ricoperta degli
escrementi dei due cani dei padroni e che, cosa terribile, la mia amica vi era
inconsapevolmente finita dentro! Inutile dire che le scarpe le si erano
imbrattate completamente, e non solo: nella confusione del momento, direttasi
in bagno, Caterina aveva sporcato senza volerlo anche la moquette bianca di
quel piccolo ambiente invaso dai finti pappagalli!
Scesi allora giù di corsa alla ricerca
disperata del numero di cellulare di M. e, ancora quasi al buio cercai
freneticamente una rubrica telefonica fra le mille cianfrusaglie a forma di
orsacchiotto di cui ridondava la cucina. La trovai, infine, e in preda a grande
nervosismo, riuscii a comporre, tremando, il numero. Il padrone di casa mi rispose seraficamente dicendo di trovarsi
con l’amico a cena nel ristorante di un paesino poco lontano da Haworth e che
al momento non poteva venire in nostro aiuto. A quel punto cominciai io a
sbraitare a gran voce nel ricevitore richiedendo la sua presenza immediata in
casa per la situazione grottesca che si era venuta a creare e solo allora il
padrone del cottage s’impegnò a raggiungerci entro breve tempo.
Quando poco dopo il campanello della porta risuonò,
non si trattava di M. ma di una donna, una vicina che, come io e la mia amica
avemmo modo di appurare dopo qualche minuto, era stata pregata dallo stesso M.
via-telefonino di accertare la gravità del danno e l’indispensabilità della sua
presenza. La donna, già sulla soglia assalita dal nauseabondo olezzo, si rese
subito conto della situazione e comunicò senza indugio con il padrone di casa
pregandolo di tornare a Haworth con il compagno il più presto possibile.
E fu così che i due
omaccioni, armati di aspirapolvere speciale per moquettes e spray disinfettanti
e deodoranti si affannarono tutta la notte a coprire odori e ripulire tappeti
fra i risolini a stento trattenuti dei due bambini che li sbirciavano di
nascosto, curvi e affaticati, con i grandi bermuda quasi cadenti che lasciavano
scoperto un po’ del loro poderoso deretano. E in tutto ciò, tra un colpo di
aspirapolvere e l’altro, a intervalli regolari, si udivano anche gli improperi
della mia amica che continuava ossessivamente a ripetere ‘Clean my shoes, too,
clean my shoes!’, ingiungendo cioè a M. e D. in maniera perentoria di ripulirle
le scarpe!
Il giorno dopo e sino alla fine del nostro soggiorno
presso il cottage M. non fece altro che scusarsi per lo spiacevole
inconveniente che, diceva, non si era mai verificato prima di allora. E’
inutile dire che la mia amica, ancora arrabbiata, giurò alla partenza di non
mettere mai più piede (o scarpa?) in quel cottage nel caso di una futura
permanenza a Haworth mentre invece io, accomiatandomi dai due gay, anche prima
di entrare nel taxi diretto a Leeds, continuai a leggere ancora nei loro occhi
buoni un genuino rammarico per l’accaduto.
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Luglio 2005
Mi appresto ora a tornare a Haworth con mio
figlio per la quinta volta. Ho già prenotato due notti da M. e D.: cosa mai
potrà succedermi di ‘avventuroso’ in questo nuovo soggiorno? Visti i
precedenti, sono sicura che non ci saranno smentite.
Ho anche ricontattato via e-mail, dopo
quattro anni di silenzio, Paul Bernard che ha espresso il desiderio di
rivedermi, se possibile.
Ebbene, gli ho risposto semplicemente che
durante la mia permanenza non mancherò di andare a bussare, come l’altra volta,
alla sua porta e ho aggiunto anche che, se il vecchio invito a percorrere la
brughiera in jeep è ancora valido, non importa se di giorno o con le tenebre,
io e mio figlio, ormai atletico quattordicenne, saremo felicissimi di
accettare.
Ed è stato proprio così, il nuovo soggiorno a Haworth non ha avuto
smentite anzi si è rivelato più fortunato e imprevedibile di tutti i
precedenti.
Ma procederò con ordine: al momento di partire dall’Italia ho poi
prenotato non più due ma cinque notti da M. e D., intenzionata stavolta a
rimanere nel ‘mio’ villaggio il più possibile da sola con mio figlio per
godermelo finalmente senza limiti di tempo; le mie amiche con un gruppetto di
bambini sono infatti arrivate lì solo tre giorni dopo.
Giunta a Haworth in taxi, con gioia ho ritrovato il M. di sempre ancora
in bermuda e molto più grasso che in passato, oramai un uomo-bomba, e D. che
invece, assai invecchiato, non cammina più tanto essendo giunto alla veneranda
età di settantasette anni.
Appena sistematici, la prima sorpresa: sole e caldo mai visti così in
una zona d’Inghilterra di solito plumbea e piovosa in tutti i momenti
dell’anno. L’atmosfera speciale, il silenzio, la Parsonage vista poco dopo il
crepuscolo in maniera diversa dal solito, il fatto stesso di girare per le
stradine a maniche corte e di sera in questo luglio inglese così particolare,
mi hanno convinto subito che senza indugi avrei dovuto, l’indomani,
avventurarmi a piedi a Top Withens, il luogo principe della brughiera che mai
avevo potuto raggiungere nei precedenti soggiorni per motivi di ….. freddo, pioggia e fango! Era proprio la volta
buona e non mi sarei fatta scappare questa occasione unica per nessun motivo al
mondo! Il giorno seguente infatti, armata di un thermos di thè inglese, di
biscotti e di un ombrello da usare non per la pioggia bensì questa volta contro
il sole forte, come raccomandatomi premurosamente dal mio padrone di casa, ci
avventurammo con mio figlio nel cuore della brughiera intenzionati a percorrere
eroicamente a piedi i dieci chilometri che ci avrebbero condotto nel luogo
prediletto da Emily Brontë.
Ben tre ore furono necessarie per raggiungerlo, fra false partenze
dovute alla mancata individuazione del giusto sentiero e marcia forzata di tipo
militare in una landa desolata sotto il solleone. Altro che spedizione nordica,
sembrava di essere coinvolti in un safari ove pecoroni belanti e avidi di
biscotti si aggiravano in libertà su uno sfondo naturale mozzafiato in cui
l’uomo e il progresso non hanno ancora avuto la meglio.
Presto mi resi conto che, come previsto dal simpatico M., l’ombrello era
la mia sola salvezza in quel tipo di situazione; oltre che ripararmi dal sole
mi aiutò infatti a reggermi in piedi sulla via del ritorno e mi fece da
sostegno quando stanchi e sudati dopo quella passeggiata incredibilmente
faticosa riuscimmo con mio figlio a ritornare, incolumi e soddisfatti anche se
stremati, dapprima al villaggio e poi al nostro ‘bed and breakfast’.
Non appena varcatene la soglia il fragore di un tuono si fece sentire
con tutta la sua violenza subito seguito da una pioggia torrenziale dalla quale
ci eravamo salvati per puro miracolo! Ho saputo in seguito, vedendone
addirittura una foto su Internet, che proprio in quel momento e in quel giorno
la brughiera con tutte le zone ad essa circostanti erano state colpite da quella che gli inglesi
definiscono ‘flood’, non altro che un’inondazione seguita ad una potente tromba
d’aria.
Il giorno dopo e tutti i successivi furono però nuovamente prodighi di
sole e di calore. Con stupore un
pomeriggio, mentre chiacchieravo con Don nel giardinetto antistante il cottage,
assistetti ad una scena che ancora una volta mi indusse poi in privato alla più
sfrenata ilarità: vidi infatti apparire ad un certo punto dinanzi al cancello
un grassone abbastanza giovane e dai modi melliflui con in mano due gelati al
cioccolato. Il modo in cui si avvicinò e la dolcezza con cui si rivolse a M.,
sopraggiunto sulla soglia di casa con indosso sui bermuda un coloratissimo
grembiule da cucina a forma di ‘Union Jack’, mi fece questa volta capire
all’istante la novità della situazione. Si trattava di un nuovo gay, praticamente
il ‘sostituto’ di Don del quale costui aveva preso il posto per … motivi di
sopraggiunta vecchiaia! Chissà da quanto tempo, mi chiesi, anche perché nei
giorni seguenti lo rividi spesso intento ad aggirarsi per casa.
Le mie amiche e i bambini, fra cui Caterina, arrivarono a Haworth il
giovedì, come previsto, ed essendo in sei dovettero alloggiare necessariamente
in un altro ‘bed and breakfast’, in
effetti un po’ distante dal mio e situato proprio al centro del paese. Spesso
quindi mi recavo lì a incontrarle per poi fare insieme il giro degli allegri
negozietti sempre aperti grazie al clima ottimale di quei giorni. Molti
abitanti del posto, ormai abituati a vedermi per strada in continuazione e a
tutte le ore, mi salutavano come se mi conoscessero da sempre procurandomi
inconsapevolmente la gioia di farmi sentire finalmente parte di quel luogo. Ma
uno in particolare, un uomo biondo che, come mi fu poi detto da Caterina, era
non altri che il padrone del suo ‘bed and breakfast’, tale D. anche amico di M.
e sposatissimo, mi salutava sempre con insistenza fissandomi con sguardo
palesemente intrigante. Meraviglia, stupore e anche divertimento ….. avevo
intercettato incredibilmente lì a Haworth per la prima volta dopo tanti viaggi
nella terra di Albione l’unico inglese che riusciva a guardare una donna alla
maniera italiana! Bravo guardone, avresti meritato un Oscar …..
Dalla sera precedente mi ero messa di guardia a scrutare le finestre
della sua villetta, contigua al cottage di M. e D., nella speranza che si
illuminassero all’improvviso segnalando la presenza del padrone di casa in
arrivo dal Giappone. Ma nulla successe sino alle undici di mattina del giorno
dopo quando timidamente, pensando di disturbare, bussai più e più volte a
quella porta senza tuttavia ottenere risposta.
Forse Paul Bernard, stanco del lungo volo intercontinentale si concedeva
un sonno ristoratore avendo completamente dimenticato il nostro appuntamento di
quel giorno fissato, peraltro, solo per via telematica. Cominciai così a
pensare che se la mattinata fosse trascorsa senza alcuna novità, avrei dovuto
purtroppo rinunciare ad incontrare l’anglo-giapponese, dato che la mia partenza
da Haworth era prevista per il primo pomeriggio.
Ad un certo punto però, mentre chiedevo ad un vicino se avesse scorto
per caso quel mattino dei ‘segni di vita’ in quella casa quasi tutto l’anno disabitata,
avvistai una splendida auto rossa da corsa in discesa il cui autista,
semi-nascosto da un cappellaccio bianco alla Humphrey Bogart, mi sembrò essere
proprio …. Paul Bernard! Fu questione di un attimo ma io lo riconobbi
all’istante. Allora si era davvero dimenticato del tutto di me e
dell’appuntamento e andava scorazzando allegramente per il villaggio! L’auto
scoperta era subito scomparsa e difficilmente avrei rivisto apparire il suo
proprietario prima di due ore, dato che come mi suggeriva il vicino, di solito
quel signore lì una volta partito per i suoi giri nello Yorkshire non tornava a
casa prima di sera.
Al colmo della costernazione e ancora chiedendomi i motivi di tale
dimenticanza da parte dell’imprevedibile Paul Bernard, vidi all’improvviso che
la sua porta di casa si apriva inquadrandolo sull’uscio.
Non mi sembrava vero, eppure si trattava proprio di lui, che mi faceva
segno di avvicinarmi e già mi salutava. Meno male, dopotutto non era andato
lontano e, come mi disse poco dopo, aveva solo ‘depositato’ nel garage sul
retro quel suo destriero rosso fuoco da poco acquistato e appena collaudato.
Ed ecco che, poco dopo, ebbe inizio la grande imprevedibile avventura di
questo mio soggiorno a Haworth. Paul, che questa volta sembrava
disponibilissimo e molto gentile, invitò me e mio figlio a fare il famoso
‘giro’ in brughiera ma non sulla vecchia jeep bensì su quel bellissimo bolide
rosso senza tettuccio corrispondente al nome di Morgan, cioè un facsimile della
nostra Ferrari!! Come rifiutare una proposta del genere? Eravamo, io e mio
figlio, al colmo dell’entusiasmo e, pensai, non avevo forse io atteso per anni
proprio un momento come questo?
Con fatica riuscii ad entrare nel piccolo abitacolo ma non accanto
all’autista, posto privilegiato che lasciai a mio figlio, mentre Paul Bernard
mi porgeva, guarda un po’, proprio il cappellaccio bianco da mettere in testa
per proteggermi dal sole. Mi disse che assolutamente non avrei dovuto perderlo
(pena, come si diceva un tempo nello Yorkshire, il taglio della gola!) ed io,
divertita, lo appoggiai subito sulla mia folta capigliatura.
Così partimmo e già dopo qualche attimo, roboando, il bolide cominciò a
prendere velocità mentre si lasciava in tutta fretta alle spalle il villaggio.
Il vento freddo che mi sferzava il viso, la sensazione incredibile di essere
sulla più sfrenata delle giostre e la paura di perdere il cappello che ero
costretta a tenere ben fermo con ambedue le mani, mi portarono in breve ad
un’ilarità senza fine. Ridevo e mi sentivo davvero come Grace Kelly in quella
famosa scena del film ‘Caccia al ladro’ provando in quel momento un’ebbrezza
che difficilmente posso descrivere a parole.
Ma che bell’ imprevisto mi era stato riservato proprio per quell’ultimo
giorno di permanenza a Haworth! L’immensa brughiera illuminata ancora dal sole,
che ogni tanto ammiravo quando l’auto rallentava e il vento mi dava un po’ di
tregua, era davvero uno spettacolo inaspettato!
Ad un certo punto del percorso Paul
Bernard fermò la Morgan dalla quale presto scendemmo per contemplare dall’alto
e con calma la splendida vista. Ci immortalammo in qualche foto ricordo,
naturalmente dinanzi a quell’incredibile destriero rosso e presto la folle
corsa riprese; solo dopo un’altra ventina di minuti ritornammo finalmente a
Haworth.
Che avventura, e dire che per poco avevo rischiato ancora una volta di
perdere tale incredibile opportunità! Gustammo poi con mio figlio, anche se a
piedi nudi secondo l’usanza orientale, un inglesissimo tè per nulla giapponese
offertoci in casa sua dal simpatico Paul: ormai costui non era più l’uomo freddo
e compassato che avevo conosciuto quattro anni addietro, bensì una persona gioviale
e dotata di un forte senso dell’ospitalità.
E fu così che, il giorno dopo, in volo da Manchester, ripercorrendo
mentalmente sulle note di una bellissima canzone di Elton John i giorni da
fiaba che avevo appena trascorso nel mio ‘paesino d’adozione’, non potei fare a
meno di sentirmi più che mai riconoscente alla vita che, ancora una volta, mi
aveva regalato proprio lì grandi emozioni come queste e un’ ulteriore splendida
esperienza.
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Luglio 2007
Anche il mio sesto soggiorno a Haworth fu meraviglioso. Ai primi di
luglio del 2007 la vecchia Inghilterra era stata flagellata dalle alluvioni ed
io mi ero trovata al mio arrivo proprio nel mezzo di una tale situazione,
annunciata ripetutamente da telegiornali e quotidiani con quel senso di
allarmismo tipicamente inglese.
A Haworth, per fortuna, le ‘floods’
non si avvertirono in modo particolare,
anche se un grande freddo e un po’ di pioggia non mancarono durante il periodo
beato di sette giorni che lì trascorsi. Ebbene, l’avventura più esilarante che vissi
nel ‘mio’ paesino ancora una volta si incentrò proprio sulla giornata trascorsa
con Richard Wilcocks, membro del Consiglio direttivo della BS e al tempo
editore della BS Gazette.
Avevamo infatti fissato un appuntamento via Internet perché ambedue
eravamo ansiosi di conoscerci di persona per chiacchierare e bere magari
qualcosa insieme. Il luogo prescelto per l’incontro era la Parsonage e,
puntualmente intorno alle undici dopo la visita di rito, mi affacciai nello
shop dove mia figlia aspettava pazientemente che io finissi il giro del mio
‘sacrario’. E lui, Richard, era lì che già mi attendeva in maniera discreta,
alquanto diverso dalla foto che tutti noi soci BS avevamo visto sulla Gazette
e, in realtà, un bel ‘pezzo d’uomo’ alto e imponente con i capelli brizzolati e
l’aria simpatica. Avrei scoperto poi in lui nell’arco della stessa mattinata
con sorpresa una qualità inconsueta da quella dei normali inglesi e cioè la sua
incredibile loquacità: in linea di massima Richard chiacchierò in continuazione durante tutto il
nostro incontro, trovando fortunatamente in me una altrettanto ciarliera
interlocutrice!
Il tempo, ancora una volta e come sempre in Inghilterra, non prometteva
niente di buono: io e mia figlia eravamo bardate di giacche a vento, ombrelli e
sciarpe ed il cielo bianco-grigio pieno di nuvoloni faceva presagire senza
ombra di dubbio l’imminente pioggia. Non appena effettuata l’agnizione Richard
Wilcocks propose a sorpresa una passeggiata immediata in brughiera, magari non
a Top Withens vista la muta perplessità mia e di mia figlia, ma alle Brontë
Falls, luogo un po’ più vicino da raggiungere, solo otto chilometri tra andata
e ritorno.
Figurarsi le nostre espressioni attonite e poi …… con quel tempaccio!
No, no, e se si fosse abbattuta una tempesta? Dove ci saremmo mai riparati? La
ferma insistenza di lui piegò però anche le ultime recalcitranti resistenze di
mia figlia e, solo per non sembrare scortesi, partimmo per la brughiera
scarsamente convinte e ormai disposte a tutto.
In breve però pioggerella, fango, pietre e soprattutto vento, proprio
quello freddo e sferzante descritto da Emily nel suo romanzo allontanarono ogni
preoccupazione dinanzi allo splendido paesaggio naturale che si propose alla
nostra vista una volta inoltratici sul grezzo sentiero. Il verde intenso che ci
circondava e che all’infinito si estendeva con l’erica ancora in boccio e le
pecore lanose col muso nero tipiche dello Yorkshire da cui eravamo circondati
fecero sentire me e mia figlia più che mai simili ad avventurose pioniere sotto
quel cielo plumbeo e minaccioso.
Come Dio volle, riuscimmo ad
arrivare alle cosiddette Brontë Falls, il posto in cui i ragazzi Brontë sin da
piccoli si recavano nelle loro sortite in brughiera soffermandosi poi per
riposare e guardare ‘the meeting of the
waters’ , come essi stessi avevano battezzato quel posto. Ed in effetti la
piccola valle in cui un ruscello scorre vorticosamente addentrandosi tra
lastroni e muschio e sul quale è stato eretto un rustico ponticello di pietra,
è un autentico incanto. Foto e citazioni brontëane non bastano a riprodurre la
sensazione di pace e di contatto con la natura che si provano proprio in quel
luogo: ecco perché Emily riusciva a ispirarsi per le poesie in maniera tanto
superba!
E Richard, dimostratosi piacevolissimo interlocutore oltre che
infaticabile camminatore continuava a illustrarmi i mille aspetti di quel
paesaggio idillico, facendo soffermare il mio interesse sulla digitale rossa,
un fiore particolare che cresce in luglio solo nei luoghi freddi, e su Top Withens
che si poteva intravedere solitaria a poca distanza e immersa nel verde.
Dopo un certo tempo iniziammo il percorso a ritroso con mia figlia in
testa al sentiero. La pioggia ci diede una tregua e il cammino questa volta
sembrò stranamente più breve: presto ritornammo quindi all’auto di Richard che,
con grande cortesia, ci portò a Stanbury a bere qualcosa in un pub prima di
accomiatarsi da noi.
Ebbene, fu solo al termine di questa grandiosa camminata che pensai alla
fortuna capitatami quel giorno: senza la risolutezza di Richard, nuovo amico BS
ed esperto conoscitore di sentieri, non mi sarei mai avventurata nella landa
con un tempaccio simile e nemmeno l’avrei fatto, da sola, nei giorni
successivi. Avrei perso così, scioccamente, una nuova splendida occasione per
‘respirare’ la brughiera e vedere da vicino le suggestive Brontë Falls.
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Agosto 2009
Dopo altri due anni eccomi ancora una volta a Haworth nel pieno dell’estate
in un inizio d’agosto che, spero, veda il fulgore dell’erica in fiore nella brughiera.
Sono reduce da una tre giorni di ‘full immersion’ Brontë avendo partecipato
come unica italiana alla Conferenza Internazionale tenutasi a York. Mi
tratterrò quattro notti questa volta ma presto mi accorgo che tante, troppe
cose sono cambiate a soli due anni dalla mia permanenza qui.
Non appena giunta il mio gigantesco padrone di casa, dopo avermi accolto
con un sorriso stavolta più mesto che in passato, mi aggiorna subito sulle
novità della casa e del villaggio; Don, l’altro proprietario, ormai è molto
malato e di lui, invisibile presenza relegata nell’ala retrostante del B&b si
occupa l’assistentato sociale; il simpatico vecchietto che vendeva tappeti di
pelliccia dall’altro lato della strada e anche l’antiquario del negozio di
fronte sono morti e addirittura il gestore della drogheria Sowden al centro del
paese dinanzi alla chiesa si è impiccato. Inevitabili avvisaglie di mutamento,
una generazione che scompare …. alla domanda che gli pongo chiedendo che tipo
di negozio sostituirà quello dell’antiquario Mike mi risponde che sta per
essere allestito un centro benessere. Ma siamo matti, rifletto fra me, massaggi
e saune a Haworth?
Il giorno dopo, percorrendo la salita di High Street, percorso obbligato
ma divenuto ormai per me una consuetudine inevitabile, noto la varietà di
negozietti che espongono come sempre quando c’è il sole i loro prodotti in
grandi cestini. Sbirciando fra essi con più attenzione mi accorgo però con
stupore che non contengono affatto souvenirs Brontë, come sempre succedeva in
passato, ma che lì in quegli espositori e nelle vetrine circostanti ci sono
invece chincaglierie da strapazzo, prodotti dolciari, addirittura cuoio e
pellami forse italiani. Volgo lo sguardo in giro e rimango senza fiato: dinanzi
a me ho un emporio di formaggi, pochi passi più avanti vedo un negozietto di
orecchini e collane in plastica dalla seducente insegna ‘Passion’ e, più su,
accanto allo storico ufficio postale e proprio dinanzi alla chiesa, un ‘Pet
care shop’, vale a dire un ‘tutto per cani’!!
Ma dove sono finite le sorelle Brontë, dov’è più il loro paesino
incantato rimasto come sospeso nel tempo? Incredibilmente anche qui tutto è
stato fagocitato dalla globalizzazione! Cerco allora di entrare in qualche
negozio per acquistare dei souvenirs, magari ci sarà ancora un pacco di
biscotti o un po’ di cioccolata che riproduca sull’involucro l’effigie delle
sorelle letterate che tanto hanno contribuito negli ultimi due secoli alla fama
di Haworth. Mi ritrovo invece attorniata da giovanissimi commessi o da
vecchiette sorridenti che dal retro del bancone gentilmente mi ringraziano
anche se non compro nulla terminando sempre la frase con ‘honey’ o ‘love’. Ancora
stupore e sbalordimento: ma quando mai questi rudi abitanti dello Yorkshire
hanno riservato in passato un trattamento simile agli sconosciuti? Emily Brontë
ci insegna, e se solo ripenso alla mia prima venuta qui a Haworth più di un
quarto di secolo fa, che abissale differenza di modi!
Sono triste e mi avvio verso chiesa e Parsonage, pronta ad attendermi
nuove spiacevoli sorprese: difatti la chiesa è solitaria, non c’è più la
simpatica ‘reverenda’ Jenny di due anni fa ma tutto tace in attesa di un
invisibile curato che, difatti, non si è poi visto nemmeno da lontano nei successivi
tre giorni. Nella Parsonage finalmente tiro un respiro di sollievo, mi sembra
che tutto sia al proprio posto come lo è sempre stato, anzi qui i nuovi
accorgimenti tecnologici del ventunesimo secolo hanno sortito addirittura
effetti strabilianti per chi vuole conoscere le scrittrici da vicino: c’è una
mostra di foto bellissime appese alle pareti delle varie stanze che riproducono
vari paesaggi di brughiera e qua e là per la Parsonage i costumi originali
della nuovissima e ancora inedita versione di Wuthering Heights realizzata di recente dall’ITV, mentre il museo
espone i memorabilia brontëani mai prima apparsi catalogandoli per la prima
volta in aree tematiche. Forse bisogna rassegnarsi, penso, il sacrario brontëano
ormai è tutto concentrato lì, e tanto più apprezzabile mi sembra di conseguenza
lo sforzo di chi, nella Brontë Society, si dà da fare per sortire tale effetto.
E’ la volta della brughiera. Mi avvio a piedi percorrendo il solito sentiero solitario e finalmente dopo poco la vedo, fiorita e immutabile come sempre, non ancora intaccata dal progresso. Ma per quanto ancora, mi chiedo, e non so darmi una risposta. Anche l’erica appena sbocciata sembra riflettere al sole una tonalità diversa dall’usuale: non è color fucsia come in passato, bensì di un caldo color glicine che la rende diversa e che mi spinge a coglierla per guardare il fenomeno da vicino. Quali e quanti cambiamenti stavolta anche in natura!
E’ la volta della brughiera. Mi avvio a piedi percorrendo il solito sentiero solitario e finalmente dopo poco la vedo, fiorita e immutabile come sempre, non ancora intaccata dal progresso. Ma per quanto ancora, mi chiedo, e non so darmi una risposta. Anche l’erica appena sbocciata sembra riflettere al sole una tonalità diversa dall’usuale: non è color fucsia come in passato, bensì di un caldo color glicine che la rende diversa e che mi spinge a coglierla per guardare il fenomeno da vicino. Quali e quanti cambiamenti stavolta anche in natura!
Trascorro così in una incredulità rassegnata i miei tre giorni a Haworth,
ho anche modo di intrattenermi a sorpresa con Paul Bernard, l’amico
anglo-giapponese che stavolta ho incontrato in strada per caso, e come sempre l’ultima
sera mi sento malinconica al pensiero di lasciare ancora una volta quello che è
sempre e comunque il ‘mio’ paesino. Ma un miracolo mi attende proprio all’uscita
del pub a mezza salita ove ho cenato: per caso guardo in alto, lì verso quello
sprazzo di cielo che ormai, terminato il crepuscolo, ha assunto un colore blu
scuro. E la vedo. E’ la luna piena, un globo candido e luminoso miracolosamente
sospeso e visibile in quel cielo che mai era stato così terso. Riesco a stento
a fotografarla ma è già scomparsa dietro una nuvola scura. Insperabilmente la
vista di quella luna, proprio l’antica beniamina di Charlotte Brontë, mi ha
regalato una delle emozioni più profonde che mai ho provato nei miei tanti
soggiorni a Haworth,
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E ancora fui a Haworth nel 2016 e nel 2018 .....
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Alcuni oggetti esclusivi Bs e della Haworth
anni '80 - '90 - 2000
(oggi rari o inesistenti):
(rara)
Fazzolettino con i volti stampati di Charlotte, Emily e Anne
(primi anni '80)
(primi anni '80)
(introvabile)
Essenza di profumo 'Brontë Dream' (primi anni '80)
(introvabile)
Statuetta raffigurante Charlotte Brontë (anni '80)
Segnalibro della BS 'Classic Novels' celebrativo dei 150 anni
dalla pubblicazione dei romanzi Brontë (anni '90)
dalla pubblicazione dei romanzi Brontë (anni '90)
Mestolo dipinto a mano venduto da 'Sowden's' di Haworth
(fine anni '90)
(fine anni '90)
(introvabile)
Spilla con silhouette di Emily (primi anni '2000)
(introvabile)
Piccola sezione di tronco del pino piantato da Charlotte dinanzi alla Parsonage nel giorno del suo matrimonio (edizione limitata a 250 esemplari) tagliato lunedì 28 gennaio 2008.
(introvabile)
(introvabile)
Bustine profumate di fiori di brughiera
(ancora disponibili a Haworth)
(ancora disponibili a Haworth)
Liquore Brontë in edizione limitata per il bicentenario di Charlotte
(raro)
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